Chi è appassionato di letteratura poliziesca non può non considerare quegli scrittori che, pur dedicandosi abitualmente ad altri tipi di narrativa più impegnata, non disdegnano però di cimentarsi, almeno una volta, nel genere “giallo”. Accade così che romanzieri e fini intellettuali come Mark Twain, Bufalino, Eco, Sciascia, Borges, Mishima, Greene si siano prodigati a creare storie poliziesche.

Altri scrittori sono più abituati a questo filone narrativo come Chesterton, Montalbán, Fruttero e Lucentini, ma anche loro, pur rimanendo negli schemi, si sono permessi di immettervi qualche elemento più espressamente letterario.

Recentemente la Feltrinelli ha ristampato un libro che è stato composto, una quarantina di anni fa, da uno scrittore svizzero-tedesco poco avvezzo al “giallo”, ma che proprio per questo motivo ha creato un modello letterario ben interiorizzato dagli altri autori che si sono poi misurati con questo genere “popolare”. Si tratta di Friedrich Dürrenmatt, drammaturgo e narratore di grande valore internazionale - amico di un pittore anch’egli un po’ anticonformista, Varlin con cui aveva molto in comune sia intellettualmente che caratterialmente -, scomparso nel 1990.

Ebbene, Dürrenmat pur avendo creato opere di vasto spessore umanistico, spesso con risvolti drammatici, non ha mai disdegnato filoni letterari a lungo e a torto considerati di basso profilo, come appunto il poliziesco. Anzi non solo ne ha inventato un nuovo genere, frammischiando alta letteratura ad emozionanti indagini,come dimostra la trilogia composta da Il giudice e il suo boia, Il sospetto e La promessa, ma ha addirittura creato un suo protagonista, l’ispettore Barlach, un vecchio ammalato di cancro entrato di diritto nel Panteon dei personaggi “gialli”.

Questo investigatore è l’assoluto protagonista dei primi due romanzi. L’ultimo racconto, La promessa, reca uno strano sottotitolo, Requiem per il romanzo poliziesco. Questa sottolineatura non è stata creata dall’editore, di concerto con Dürrenmat per vendere più copie del libro, ma ha un suo significato ben più profondo: l’autore, a conclusione della serie, ha voluto dimostrare come la troppa razionalità, addebitata di solito ai vari detective, assieme ad una buona dose di astuzia e di cinismo, possa condurre il “giallo” alla propria scomparsa. E lo scrittore elvetico dimostra la sua tesi concependo un romanzo che, con il massimo della crudeltà e della finezza, colpisce il poliziesco fin nella radice proprio con le sue stesse armi.

Gli elementi classici ci sono tutti: l’investigatore freddo e infallibile, il commissario Matthäi dalla mente calcolatrice, privo - in apparenza - di umanità, i suoi colleghi altezzosi che non gli concedono fiducia, il delitto raccapricciante di una bambina di sette anni, l’indagine, che scavata a fondo, porta alla luce altri casi simili avvenuti in precedenza, il suicidio del principale sospetto e, naturalmente, la scoperta dell’omicida tramite una inattesa sorpresa finale. Ma tutto ciò è aridamente distorto, parodiato, portato alle sue estreme conseguenze da Dürrenmat che sostituisce alla normale pratica del poliziotto una propria morale di stampo metafisico: il razionalismo non prevale affatto sul caos, o almeno non fatalmente, poiché vi sarà sempre quel quid che potrà ribaltare un ragionamento ben fondato. Il romanziere vuol sottolineare che non basta indagare con criteri logici, con metodologie scientifiche o, come nel racconto, create appositamente per l’indagine in questione, potrà sempre avverarsi uno scherzo del destino che azzererà tutto, portando sì alla soluzione del mistero, ma per vie irrazionali.

Come si è visto, il sottotitolo de La promessa ha effettivamente un suo scopo, quello di delimitare i confini del freddo ragionamento poliziesco, se no questo genere narrativo vedrà la sua scomparsa per mano degli stessi suoi protagonisti.

     

Friedrich Dürrenmatt

La promessa - Un requiem per il romanzo poiliziesco

Feltrinelli