Angelo si accorse che qualcosa non andava, non appena ebbe chiuso la porta: Giovanna gli stava di fronte, chiusa in un accappatoio di spugna, il volto congestionato, gli occhi sgranati, impaurita.

Non era certamente la Giovanna che sapeva di incontrare ogni mercoledì.

“Si può sapere che vuoi, che ci fai qui?”, “ Ma come cosa faccio, è mercoledì, il nostro appuntamento settimanale, ti sei scordata?” Come poteva esserselo dimenticato Giovanna dopo che

da due anni tutti i mercoledì, festivi esclusi, riceveva puntuale la visita dell’ing. Angelo Ruffo.

Era un’abitudine talmente consolidata, che la donna aveva pensato bene di dare le chiavi

di casa ad Angelo “Almeno, se non posso risponderti quando suoni, puoi entrare a metterti a tuo agio” fu la sua considerazione.

Angelo, si era chiesto più volte come facesse ad essere così sicura dell’assenza costante del marito proprio in quel giorno, non aveva mai posto il problema alla diretta interessata, “In fondo non sono problemi miei”.

Giovanna era la sua isola, l’unico momento di pace e di respiro in una vita vissuta a mille, era burrosa, carnosa, intrigante, simile alle le dive dei film che vedeva da giovane, una Stefania Sandrelli, solo un po’ più mora.

L’uomo non avrebbe mai rinunciato a quell’incontro: anche in famiglia, come allo studio, sapevano che il mercoledì l’ing. Angelo Ruffo era a Roma per motivi di lavoro. Inoltre, avvisato tutti in modo ultimativo che, trattandosi di incontri e colloqui riservati, quasi segreti, non doveva essere disturbato per nessun motivo. A dire il vero nello studio si sprecavano le battute sul “Colosseo” ed i “Fori Imperiali” mentre a casa Flavia, tutte le volte che gli preparava la borsa da viaggio “Tanto tu, non sapresti farla” gli diceva, aveva preso a sbuffare, “Roma, Roma, che ci sarà a Roma poi…”.

Per questo Angelo era rimasto interdetto di fronte alla reazione imprevista di Giovanna, non riuscendo a capirne il motivo “Oggi è venerdì carino! Il nostro appuntamento era per mercoledì 23, non sei venuto, non mi hai avvisato costringendomi a stare in casa tutto il giorno ad aspettarti. Oggi è Venerdì 25, e tu mi fai il piacere di andartene. Mio marito è sotto la doccia ed io non vorrei dover dare troppe spiegazioni. Ciao, a mercoledì” disse, aggiungendo anche “Aspetta, prima rendimi le chiavi, mi sembri un po’ strano e  non vorrei passare dei guai per te!”  lo spinse verso la porta, che richiuse il più silenziosamente possibile alle sue spalle.

“No caro, niente, non era nessuno, solo Testimoni di Genova, lo sai come sono:

la Torre di Guardia,  le solite cose insomma! Non preoccuparti li ho mandati via!”  sentì dirle squittente attraverso la porta, di fronte alla quale era rimasto immobile, ancora incapace di comprendere la situazione.  “Geova, Geova, non Genova….”  Fu il suo unico pensiero. Giovanna, aveva il vezzo di storpiare qualche parola  come urciola  per ulcera, appindicete  per appendicite e via così. Non aveva mai capito se lo facesse per gioco oppure per una specie di dislessia nella pronuncia di alcune parole. Angelo aveva trovato il fatto divertente, quindi non aveva mai tentato di correggerla.

Iniziò a scendere lentamente le scale, e valutando l’accaduto era incapace di darsene ragione. Ripensandoci bene, però, non era la prima volta che gli accadeva qualcosa di strano: ora che ricordava bene anche la mattina precedente era successo qualcosa.

“ Buongiorno, siamo mattinieri stamane, ingegnere!” lo aveva salutato con la solita cordialità Giacomo l’usciere “ E’ arrivato quasi prima di me!”, “Che mattiniero e mattiniero, sono arrivato alla  solita ora di tutti i giorni” rispose mugugnando adirato Angelo, quindi si diresse subito verso l’ascensore senza voltarsi. Non aveva così visto lo sguardo perplesso di Giacomo, che, rimasto con l’asta per aprire il bandone d’entrata in mano, si grattava la testa “Tu valli a capire ‘sti padroni, credi di fargli un complimento e loro si arrabbiano. Ma chissene…sempre usciere sono, in basso sto e in basso rimango, cavoli sua!”

Angelo entrò svogliatamente in ufficio, si mise seduto alla propria scrivania e chiamò subito Mirella. Se mai c’era stato un prototipo di segretaria perfetta, quella non poteva essere che Mirella, silenziosa, puntuale nel ricordare gli appuntamenti, abile nel liberarlo da importuni che non voleva ricevere, era divenuta con il tempo l’unica persona fidata con la quale parlare liberamente.

Mirella, come spesso succede a quel tipo di segretaria, nutriva per Angelo, anzi per l’ingegnere Ruffo, un affetto profondo, confinante quasi con l’amore, affetto che si manifestava in mille modi uno dei quali l’assoluta fedeltà associata ad una riservatezza tombale.