Non è tecnica, quella di Ottavio Cappellani. E’ genio, distillato goccia a goccia, in frasi. Che siano di senso compiuto o meno, poco conta. E questo non perché il talento catanese non scriva razionale, ché anzi è lucido e impietoso come pochi. Ma perché quando si fa letteratura come la fa lui, succede che a chi legge, dopo poche pagine, viene subito meno ogni esigenza di storia, di trama, di personaggi, di continuità. Sparisce tutto in un impeto di passione, e l’importante è solo leggere leggere leggere e annegare in un mix irresistibile di siciliano, inglese, filosofia, trash, kitsch, politica, cow boy, minigonne, sesso, birra. E rock’n roll.

Come guardare un film di Tarantino e quando scorre The End non riucire a proferire parola. Come ascoltare i Red Hot Chili Peppers e condannarsi al repeat continuo. Come guardare un Jackson Pollock e farsi prendere da Stendhal. Come spiegarlo?

Un’esperienza sensoriale. Forse. Certo è che quando si chiude l’ultima pagina di  Chi ha incastrato Lou Sciortino?, in libreria per i tipi di Mondadori, terza creatura del catanese quasi quarantenne, da ormai un lustro - da quando uscì l’irresistibile “Chi è Lou Sciortino?” (Neri Pozza, 2004) che fece gridare al fenomeno letterario i critici di tutto il mondo, e che di quest’ultima creatura è nientemeno che sequel- tormento e estasi dei suoi lettori, poi non è che poi puoi prendere in mano Camilleri (senza nulla togliere al maestro) o chiunque altro e non accusare il colpo.

Perché Lou Sciortino è lì accanto a te, e se la ride. Personaggio in carne e ossa, da Laguna Beach, dove viene spedito dal vecchio nonno “don Lou” -desideroso di fare del nipote una persona per bene- per avviare la casa di produzione cinematografica “Starship”, sta lì a ricordarti che la narrativa è arte e che non basta sedersi al computer e infilare soggetto e predicato per essere uno scrittore. E che nel Cappellani che nega l’esistenza stessa della Sicilia e dei siciliani, quando però  la fascinazione isolana trasuda dalle sue pagine, inarrestabile, oltre le sue stesse intenzioni, e che in questo terzo volume –e questo ci duole- lascia l’ambientazione catanese di Tony, Mindy e Valentina  da “Chi è Lou Sciortino”,  nonché quella irresistibile  di Betty da “Sicilian Tragedi” (Mondadori, 2007), “l’archetipo della buttanaggine in quaranta chili di tettine e sandali”, per teletrasportarci negli Stati Uniti del 1969,  c’è talento e cultura da vendere sì, ma c’è soprattutto il demone della creatività e della sperimentazione e della provocazione; e c’è barocco.

Più di quanto, forse, non garbi allo stesso Cappellani, che vorrebbe essere scarno e lasciar parlare i suoi personaggi, ma che poi riempie le pagine di parole, di caffè, di ketalan, di libertà, di fachiri, di cucuzze, di vaffanculo, di cosce e di babbasunazzi; e che proprio quando si lascia andare crea capitoli sui quali i critici ci arrovelliamo, non capendo più a chi paragonarlo, e scomodiamo Gadda, e tiriamo fuori Brancati (quanta verità, però, in questo) e invochiamo Tarantino, perché questo è cinema.

Dimenticando che invece è solo, puro, Cappellani.

 

E poi c’è Leonard Trent, che in questo prequel è giovane studente di cinema, all’USC di Los Angeles; un tipo strampalato assai, anzi diciamo completamente fuori di testa.

E’ lui il regista incaricato di fare film per la Starship Movies, casa di produzione cinematografica fresca giovane e all’avanguardia,  che evolvendosi diventa qualcosa di simile a un metodo per ripulire soldi, e che non deve diventare famosa sennò poi attira l’attenzione, e che dovrebbe essere il lavoro perbene del giovane Lou Sciortino, produttore in erba.

Niente di tutto questo potrà mai realizzarsi; la Starship comincerà a fare film altamente improbabili e involontariamente trash, che proprio per questo i critici adoreranno. E sulla strada del “lavoro per bene” si metterà di traverso quello che è a nostro parere uno dei personaggi più riusciti di tutto il libro nonché degli ultimi anni di narrativa generale, quel Gunman “Fly” Gunman di stratosferica malvagità  -impossibile peraltro non adorarlo- davanti al quale è più che lecito chiedersi “che razza di sostanza abbia ingerito, o sniffato, o si sia inalato, o iniettato, o sparato, o quello che volete”.

Da qui, una serie di situazioni ancor più improbabili dei film della Starship costellano le 303 pagine di “Chi ha incastrato Lou Sciortino?” innescando bombe a orologeria e discorsi atipici “sulla veridicità scientifica della capacità di una donna di avere un orgasmo tonsillare”, giusto per dare un’idea. La trama è tutta da godere, e raccontarla è peccato più che veniale. A che serve chiedersi da quale cilindro siano saltati fuori personaggi come Turi Messina, autista factotum, o Pippino, strano scagnozzo intellettualoide, ombra del giovane Lou, che  legge Camus “con la stessa meticolosità con la quale avrebbe pedinato qualcuno” e che dopo aver visto “Teorema “ di Pasolini si lancia in una disquisizione sulla perdita dell’identità borghese e altre amenità similari?

La scrittura è avanguardia, sperimentazione, e assieme barocco, musicalità. Casualità, a volte.

E poi, a tratti, quando meno te l’aspetti e ti stai sbellicando dal ridere pensando  a Gunman Fly Gunman che smuove le dita “come a liberarsi delle energie negative per aprirsi a più ampi orizzonti di cordialità”, ecco che viene fuori il Cappellani che non ti aspetti. Quello che quando parla di esilio ti fa piangere e che quando parla di nostalgia ti lascia l’amaro in bocca per non saper trovare le parole e quello che il tiatro siciliano lo descrive come nessun altro.

Quello che fa di lui lo scrittore perfetto che è.

 

Potete leggere un'intervista su http://www.thrillermagazine.it/rubriche/886

 

Ottavio Cappellani

Chi ha incastrato Lou Sciortino

Mondadori editore

305 pagg

euro 18,50