The Sherlockian (Graham Moore, 2010) aggiunge un nuovo tassello al canone degli apocrifi sherlockiani e segna una nuova tappa nel campo degli studi su Arthur Conan Doyle e sul fin de siècle. Non è la prima volta che tra i personaggi di un apocrifo troviamo l’autore di Dracula o Oscar Wilde, ma la tecnica di scrittura di questo romanzo merita una menzione speciale. Infatti l’opera è scritta su due binari paralleli: un primo plot riguarda il cosiddetto Grande Iato, ossia il periodo che va dal 1893, l’anno della presunta morte di Holmes a Reichenbach, al 1901, l’anno in cui venne pubblicato Il mastino dei Baskerville; un secondo plot riguarda il presente, ovvero il mese di gennaio del 2010. Lo stile si ispira al montaggio alternato di un film, e dunque i due protagonisti principali – Arthur Conan Doyle e lo Sherlockiano Harold, il più giovane membro dei Baker Street Irregulars, ci appaiono con la tecnica del campo – controcampo in un susseguirsi di azioni e di attese che creano un gioco di suspense davvero ben congegnato.

Il fulcro del romanzo ruota intorno 1- al ritrovamento di un diario scomparso scritto da Doyle e 2- all’omicidio del più prestigioso Sherlockiano vivente. Doyle e Holmes non sono mai stati così vicini come in questa storia, che si apre con la decisione del primo di sbarazzarsi del secondo e si chiude simbolicamente proprio sulle stesse cascate di Reichenbach oltre due secoli dopo. Non dirò altro per non rovinare l’indagine a cui ogni lettore è naturalmente chiamato. 

Vorrei invece sottolineare i numerosi omaggi di Moore alla grande tradizione della detective fiction (da Poe alla Christie), l’accuratezza delle citazioni e degli inserti dal Sacro Canone, la precisione nella ricostruzione del metodo d’indagine, l’erudita alternanza dei due diversi registri linguistici e culturali, e soprattutto l’idea veramente originale di interrogarsi, per una volta, non tanto su cosa abbia fatto Sherlock Holmes durante il Grande Iato, ma su cosa abbia fatto Arthur Conan Doyle.

Oltre a ciò, le scene di una Londra al confine tra vittorianesimo ed età moderna, sospesa fra illuminazione a gas ed elettricità, sono descritte in modo ineccepibile, così com’è ineccepibile la rappresentazione del dramma collettivo che scuote la popolazione alla morte di Holmes. Eroe letterario e non reale, egli infatti per una tradizione millenaria non era destinato a morire: e davanti all’infrangersi di questo tabù il pubblico, per la prima volta nella storia, mette in atto una protesta mai vista prima. Questa protesta è una sorta di certificato di nascita della letteratura popolare, ed è il segno inequivocabile dell’avvento della cultura di massa, che cambierà per sempre il rapporto fra autore e pubblico e fra autore e personaggio – “a detective needs an audience”, leggiamo infatti. Un detective ha bisogno di un pubblico.

In questo romanzo, Moore riesce ad accontentare diverse tipologie di lettori. Se da un lato ritroviamo il mood di inizio 900, dall’altro l’autore non dimentica di fare riferimenti all’attualità – e difatti troviamo analisi del DNA, segreterie telefoniche, aeroporti e telefoni cellulari. Se da un lato abbiamo l’associazione dei Baker Street Irregulars con le loro idiosincrasie, dall’altro abbiamo le stravaganze di Conan Doyle. Se da un lato c’è l’azione, dall’altro c’è un subplot sentimentale. E tanto altro ancora…

Un’ultima annotazione: tra bombe, suffragette, scrittori e detective dilettanti si dipana la storia di un’umanità ben consapevole che la realtà dura meno della fantasia. Quando Conan Doyle spiega a Bram Stoker che vorrebbe essere ricordato per i suoi libri di storia, l’amico gli ricorda che “realism is fleeting. It’s the romance that will leave for ever”. Cioè: il realismo è effimero, mentre il romance (il romanzo, l’avventura, l’immaginazione) vivrà per sempre. Ma questa non deve essere intesa come un’affermazione escapista. Come il romanzo di Greene  e tanti altri buoni apocrifi dimostrano (alcuni dei quali ambientati addirittura in Italia, come quelli ottimi di Enrico Solito), la storia può essere raccontata anche attraverso la fantasia: ecco dunque che l’Inghilterra vittoriana, o l’America di Dallas, o la tragedia del Titanic, o la seconda guerra mondiale, o perfino le ombre di Gubbio possono tramandare frammenti preziosi di quella Storia che il realismo, troppe volte, cancella dalla memoria.