Agata Valentoni, docente di storia e geografia, col pallino dell’investigazione e delle letture poliziesche, stava la mattina di quel 25 aprile, a innaffiare le sue amate violette, sul balconcino barocco, della sua abitazione, un modesto appartamento, ma arredato con grande buon gusto, in un antico palazzo nel cuore di Forlì: era festa quel giorno, e quindi si dedicava a fare quello che negli altri giorni era difficile.

Da qualche anno era sola: suo marito, un anatomopatologo, sposato tre mesi prima, era venuto a mancare in un modo così fuori da ogni canone di normalità..dopo una dissezione anatomica: avviandosi a ripulirsi, a togliersi camice, guanti, era inciampato e, cadendo, aveva sbattuto la testa contro lo spigolo di un lettino di acciaio, dove riposava un altro cadavere in attesa di esame, divenendo egli stesso un cadavere, fresco fresco.

E così Agata, che gli anni non avevano inclementemente cambiato, si era trovata di punto in bianco vedova; e per di più, siccome i due avevano anteposto ai piaceri della carne i rispettivi impegni lavorativi, ora Agata si trovava ad avere molti rimpianti: era una bella donna di quarantacinque anni, di altezza normale, con un bel seno e uno splendido fondoschiena, attributi che invero ella non è che mettesse tanto poi in mostra, ma che per la loro beltà le avevano già guadagnato l’interesse di suoi colleghi maschi, signorini di cinquant’anni che lei però neanche guardava: uno che a quell’età non ha ancora avuto neanche una storia è di solito guardato male da una donna che immagina chissà quali problemi mai possa avere incontrato nel non trovare una donna (disordine caratteriale, impotenza, sfortuna, etc..). E così Agata, con i suoi bei capelli biondi e i suoi occhioni azzurri, rimaneva alla finestra ma osservando anche chi si affacciasse ad altri balconi.

E non era neanche un modo di dire, perché da qualche tempo, l’inquilino del secondo piano la guardava in modo parecchio strano; e anche nell’ascensore, qualche giorno prima, un certo movimento con l’anca, non l’aveva lasciata indifferente: ad un altro avrebbe mollato un ceffone, ma a lui non aveva fatto alcuna rimostranza. E quello stesso giorno l’aveva incontrato, un’ora prima: era uscita sullo stesso pianerottolo di Luca (si chiamava Luca Pace, ed era un docente di matematica in una scuola media di Rimini ) e con la scusa che le andava di fare qualche piano a piedi, aveva salito la rampa che portava al terzo piano, mostrandogli quello che era invece normalmente nascosto, appena la gonna svolazzante, al venticello che entrava dalla finestra sulle scale, si alzava un po’ di più.

Insomma Luca le piaceva, e lei aveva capito benissimo che piaceva a Luca.

Lo stava tentando, ma…quale tentazione è più grande per un uomo che non pietanze sapientemente cucinate? Le avrebbe condite con spezie afrodisiache, e ne avrebbe poi saggiato le capacità fisiche, fantasticava spesso sul suo divano. Ma poi non trovava mai il modo di realizzare le sue fantasie, perché un innato velo di riservatezza e di pudore, facevano capolino quando era lì lì per passare alle vie di fatto: quindi gli ammiccamenti, gli sfioramenti andavano avanti nell’ascensore, nelle scale, e nell’androne quando prendevano la posta si scambiavano delle parole. E quando Luca era venuto una volta su a chiedere del sale (ma era poi vero o una scusa per imbastire un discorso più vero?) lei era rimasta imbarazzata e tutta rossa, e tutte quel corteggiamento gestuale appena espresso e quegli ammiccamenti e quelle fantasticherie, tutto, era come se non fosse mai avvenuto. Per cui nei giorni che erano seguiti, piena di complessi di colpe, si era interrogata se davvero il suo sentimento fosse stato vero oppure una mera infatuazione.

Fatto sta che tutto sembrò finire. E lei cercava di non pensare più a quel bel fusto del secondo piano, quando.. quando il destino ci si mise di traverso e fu in occasione del famoso caso “del registro scomparso”, uno dei primi in cui saggiò la sua capacità investigativa: accadde che Luca Pace venne ad insegnare a scuola sua.

La prima volta che lo vide salire le scale ed andare in presidenza, ebbe un tuffo al cuore. E poi quando ne uscì, accadde che i due praticamente si scontrarono; e così il caffè, una schifezza che erogava la macchina posta al piano, andò a finire sulla polo arancione. Ai primi segni di insofferenza, Luca fece seguire uno sguardo attonito quando si accorse chi era che lo aveva incensato.

- Tu ? Che ci fai qui?

- Ci insegno.