Maurizio De Giovanni si può dire che lo conosca sin dalla nascita (letteraria) con quel suo Il senso del dolore, Fandango 2007 che mi colpì in maniera molto positiva, tanto da seguirlo in seguito con implacabile costanza. Passo dopo passo dalla Napoli del regime fascista con Luigi Alfredo Ricciardi eccolo alla Napoli di oggi…

Il metodo del coccodrillo di Maurizio De Giovanni, Mondadori 2012.

Spunti a braccio. Vecchio che uccide con metodo da coccodrillo, pazienza, ricerche, appostamenti, tutto studiato, in corsivo le sue lettere ad una persona che ama e con la quale vuole ricongiungersi, occhio sinistro che lacrima, fazzolettini sul luogo del delitto. Speranze, speranze e speranze, l’amore falso, l’amore difficile, presenze ingombranti (padri e madri che caricano i figli di pesanti responsabilità), l’indifferenza verso la vecchiaia, verso la miseria, verso gli altri, il peso della vita che parte dall’ispettore Lojacono e si irradia per tutta la storia. Trasferito dalla Sicilia a Napoli perché accusato di passare informazioni alla mafia, persa la moglie Sonia e la figlia Marinella collocate in altra città, tenuto fuori dalle indagini passa il tempo giocando a scopa con il computer, mangia in una trattoria (spettinato, soprabito spiegazzato) dove viene seguito dallo sguardo partecipe della padrona Letizia ancora belloccia (morto il marito) a cui confida il suo passato tra bicchieri di vino rosso. Occhi da cinese (ci ricorda qualcuno dell’87° distretto), sogni e incubi ricorrenti, lo strazio per non poter vedere la sua figlia. Un flash back di una ragazza rimasta incinta e abbandonata dal suo ragazzo, il terribile dolore di un aborto, tre giovani uccisi, tre genitori straziati.

Sostituto procuratore Laura Piras, di Cagliari (morte del fidanzato), piccola e graziosa, vuole Lojacono nella sua squadra, unico a credere che gli omicidi non siano di camorra. Soliti scontri tra colleghi che non interessano molto.

Ricciardi è stato lasciato ma si ritrova in queste pagine la stessa atmosfera di sofferenza anche se in una Napoli diversa, meno chiassosa e strafottente, “che si fa proprio i fatti suoi, sotto una “pioggerella costante e infinita e un cielo grigio”, “piena di fantasmi che vanno e vengono indisturbati”, il mare e la città che “ostentavano indifferenza l’uno per l’altro”.

De Giovanni si insinua negli animi, li sviscera, li porta alla luce con le loro speranze e i loro dolori attraverso una prosa asciutta, precisa e delicata che ci prende per mano e ci tiene compagnia lungo tutta la storia, ora lenta e sofferta, ora più veloce e agitata verso la conclusione.

Dolore ma anche speranza. Il passato bisogna lasciarlo alle spalle. Sarà possibile?

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