Il romanzo storico sembra stia vivendo una stagione particolarmente propizia, soprattutto quando è mescolato con una certa vena di mistero. Ma quanto è difficile scrivere un romanzo storico e a muoversi nei meandri del passato? Ce lo spiega qui Giulio Leoni, maestro indiscusso del "genere".

Allora ci siamo. Immaginiamo un autore che si cimenta a scrivere la sua prossima opera. Ha un foglio bianco davanti. Anzi, trattandosi di un romanzo, molti, moltissimi, innumerevoli fogli. La prima cosa da fare, ovviamente, è quella di interrogarsi. Onestamente, in perfetta solitudine con se stesso lo scrittore si deve chiedere: ma che cosa voglio scrivere? È innegabile che molti, oggi, si stanno orientando verso il romanzo storico. Quali sono secondo te i punti di forza e le criticità di questo particolare genere letterario ?

La sua forza sta nell’estendere all’infinito il numero delle storie possibili. In fondo il romanzo storico, anche nella sua variante gialla, non è che un romanzo di fantascienza che guarda all’indietro invece che in avanti. La sua criticità sta nell’ossimoro che lo identifica, “romanzo” e “storico”. Comunque la si giri, sono due categorie che non stanno insieme. Insisto sulla definizione iniziale, l’unico esempio di romanzo “storico” compiuto che mi venga in mente è le “Cronache della Galassia” di Asimov. Per il semplice fatto che lì nessun elemento entra mai in conflitto con il “dato”.Tutti gli altri sono romanzi “collocati” nella storia.

Il fascino indiscutibilmente c’è, la tentazione pure, ambientare una storia in un periodo storico particolare, lontano dall’oggi, trasportare il lettore non solo all’interno di una storia, ma anche e soprattutto in un luogo e in un tempo sconosciuti. Tu come vivi questa esperienza di creazione?

Bisogna andarci a vivere per primi noi, per sperare poi di portarci anche i lettori. Quando ambiento una storia in un’altra epoca, questo avviene perché in quel momento, per qualche motivo, la mia mente sta già lì. Non sarei capace (o meglio, forse ne sarei anche capace ma non ne avrei voglia) di dire: scriverò una storia ambientata nel ‘700, e adesso passo i prossimi mesi a documentarmi. Io scelgo sempre tempi e luoghi che in qualche modo conosco, e il lavoro aggiuntivo è solo quello piacevole di approfondire qualche particolare, che non fa che rafforzare quella sensazione di essere già lì.

Perché e come secondo te, una volta che ci si è orientati verso il romanzo storico, si opera la scelta tra un periodo piuttosto che un altro? Interesse, curiosità personale, passione, desiderio di approfondimento, fascinazione?

Nel mio caso soprattutto la fascinazione, intesa però in un senso squisitamente autoreferenziale, non oggettivo: ci sono epoche e periodi che mi interessano più di altri perché ritengo che in qualche modo abbiano contribuito più di altri a farmi quello che sono. È un’idea priva di prove, in senso tecnico tutta la storia ha lavorato per farci quello che siamo. Però ognuno di noi credo abbia la sensazione che alcune epoche ci siano in qualche modo più vicine. Forse semplicemente perché le conosciamo meglio, ma anche perché magari la loro atmosfera in qualche modo si lega al nostro temperamento. Io in genere sono affascinato dalle epoche di transizione, quelle come la nostra in cui gli uomini si trovano a doversi confrontare con un cambiamento turbinoso che tira fuori il meglio e il peggio da dentro di loro.

Supponendo allora che il nostro esordiente abbia ora operato le sue doverose scelte, dando per acquisito che abbia in mente una storia, abbia costruito un personaggio attendibile per la sua epoca e identificato un momento storico ben determinato, la parte più difficile, a questo punto, è ancora tutta da venire. Come regolarsi con la documentazione, dove scovare le notizie, fin dove spingersi nei particolari e nella ricostruzione dei dettagli? Si scava negli archivi, si leggono biografie, si spulciano i documenti storici, si familiarizza col linguaggio dell’epoca macinando lettere su diari? Insomma, tu come fai?