L’universo di Borges è pieno di simboli, temi ricorrenti come le tigri e gli specchi, citazioni che si intrecciano e si biforcano nella sua produzione dalla poesia ai racconti fino ai saggi. La particolarità e la sua forza si trova nella concisione, non a caso farà del racconto breve (ficciones come li chiama lui) un’arma tagliente come i coltelli che amava collezionare. Ci sono dei testi che nella sua lunga pubblicazione vengono citati poco rispetto ad altri che godono di universale favore.

Si prenda in considerazione la raccolta di sei racconti brevi polizieschi Sei problemi per don Isidro Parodi, scritto a quattro mani con la collaborazione di Bioy Casares.  

L’opera porta la firma di un autore immaginario Honoris Bustos Domeq.

La nascita di questo eteronimo ci viene raccontata dallo scrittore in Abbozzo di autobiografia: “Avevo architettato ciò che ci pareva un’ottima trama per un romanzo poliziesco. Una mattina piovosa lui (Casares) mi disse che avremmo dovuto provare a scriverlo. Con una certa riluttanza acconsentii e più tardi, nella stessa mattinata, la cosa accadde. Un terzo uomo, Honoris Bustos Domecq, emerse dal nulla e prese in mano la faccenda. Finì per dominarci con un pugno di ferro e, prima divertiti poi sgomenti, lo vedemmo completamente diverso da noi, coi suoi capricci, i suoi giochi di parole, e un suo stile molto elaborato. Domecq era il nome di un bisnonno di Bioy e Bustos quello di un mio bisnonno di Còrdoba. Il primo libro di B.D. fu Sei problemi per Don Isirdo Parodi (1942) e durante la stesura del libro egli non ci abbandonò un istante. Max Carrados aveva creato un detective cieco, Bioy ed io andammo ancora oltre e confinammo il nostro detective nella cella di una prigione”.

Per quanto fedele possa essere la traduzione non ci è possibile apprezzare pienamente il libro nella lingua italiana.

Ormai i sei racconti non sono del tutto cristallini neanche agli occhi di un argentino contemporaneo.

Il libro è allo stesso tempo una parodia del romanzo poliziesco e una satira sugli argentini e sulla società buonaerense degli anni quaranta.

Buenos Aires era un crogiuolo d’etnie che variavano dal meticcio sudamericano all’europeo e all’asiatico. Questo collage culturale traspare dalla ricchezza lessicale del testo. Il gustoso pastiche letterario è colmo di coloriture linguistiche che variano dai modi di dire al gergo italianeggiante, alle sporcature gergali gauchesche e alle debolezze linguistiche scadenti nel cattivo gusto, fino al cicaleccio borghese e l’ampolloso accademico.

 Umberto Eco[1] ha definito i vari personaggi delle figure linguistiche (quindi essenzialmente razionali e intellettuali) più che figure narrative. Oggi possiamo cogliere solo le sfumature di quella satira implicita al testo che rimane pienamente godibile solo a un buonaerense del 1940. L’intento dei due autori era quello di parodiare (Parodi ricorda fin dal nome la parodia) Chesterton e il suo Padre Brown che a sua volta era una parodia del poliziesco da E.A. Poe in avanti, una parodia di una parodia.

Isidro Parodi è un barbiere condannato a venti anni di reclusione, possiede un concentrato di intelligenza deduttiva o di scienza dell’immaginazione come i più famosi Holmes e Dupin.

Riceve i suoi clienti nella cella numero 273 e dopo averli ascoltati gli dice di tornare dopo qualche giorno. Senza uscire dalla cella risolve il caso svelando l’enigma.

I temi e le regole che appartengono al romanzo poliziesco sono tutti presenti nei racconti con tanto di indizi rivelati dalle narrazioni dei personaggi[2].

La nascita di questo eteronimo ha una funzione essenzialmente ludica nei due letterati. I racconti somigliano a una scatola cinese, un gioco che ha per base la moltiplicazione dello stesso oggetto, Borges e Casares hanno inventato un autore con tanto di biografia completa di studi superiori e bibliografia completa dell’opera omnia, questo ricorda molto anche l’uso dell’eteronimo in Pessoa.

Bustos Domecq viene presentato dalla sua educatrice (altra invenzione, altra maschera) la signorina Adelma Badoglio. Il socratico ‘brutto muso’, affettuoso nomignolo che gli amici affidano a Bustos, viene introdotto da Gervasio Montenegro attore e membro dell’Accademia Argentina di Letteratura nonché protagonista o semplice comparsa nei racconti che compongono il libro.

In questo ‘anteproposito’ l’accademico Montenegro si prende la briga di elogiare l’amico definendolo la risposta criolla al racconto poliziesco inglese di Conan Doyle, Ottolenghi e Poe.

Lo stesso gergo letterario pedante e ciarliero del saccente e poliedrico Gervasio si ritrova nell’altra opera di H. Bustos Domecq Le cronache di Bustos Domecq, il secondo testo in cui compare l’autore fittizio del detective Isidro Parodi.

Il gioco dei due argentini infatti riprende alcuni decenni dopo, siamo nel 1967. Con immutata ironia si presenta una carrellata di personaggi svagati e folli, eccentrici fuori posto o degradati.

“Dopo una lunga eclissi, Bustos riprese in mano la penna nel ‘67 dette alle stampe le sue cronache. Sono articoli su moderni e stravaganti artisti immaginari-architetti, scultori, pittori, grandi cuochi, poeti, romanzieri, creatori di moda scritti da un critico fanaticamente moderno. Ma tanto l’autore che i suoi personaggi sono dei pazzi, ed è difficile dire chi di loro sia in buona fede”.

Se da un lato Montenegro elogia l’arte letteraria di Domecq, non esita a criticare l’amico che risponde risentito con delle note a margine, questo cicaleccio, una sorta di gioco metaletterario, procede nel testo quasi a far passare in secondo piano gli articoli. Ecco di nuovo il gioco di specchi e delle scatole cinesi che caratterizza anche le cronache, qui come succede spesso nelle opere di Borges ogni cosa s’intreccia e si biforca.

I due hanno scritto anche un altro libro in collaborazione, un romanzo poliziesco Un modello per la morte che ;;;;;venne pubblicato ma non messo in vendita. Chiamarono l’autore del libro B. Suarez Lynch, B. significava tanto Bioy che Borges.

Il gusto dell’eteronimo in Borges ha il sapore della burla e dell’ironia ma non è esclusa la funzione di maschera dove rovesciare quel lato meno erudito e più spassoso che Borges ritrovava nelle serate con Bioy che lo faceva partecipe delle cose che udiva tra “il popolo dalle labbra impure”.

Casares era quello che il cerebrale e timido Jorge Luis non riusciva a essere: “cominciai molto presto a vergognarmi d’essere un topo di biblioteca e non un uomo d’azione”[3].

Bioy Casares era atletico, sportivo e affascinante, non si lasciava sfuggire avventure con le donne. Forse con la collaborazione dell’amico Borges ha tirato fuori un aspetto sopito, un’ombra un altro.

Immagino che questo terzo uomo, il Domecq che si impose ai due scrittori, abbia inoltre il privilegio di essere il testimone letterario di una lunga amicizia.