Immaginatevi Hercule Poirot in un caotico fast food, Miss Murple con i leggins, Nero Wolf che insegue un sospettato grazie a Google Maps. Riuscite a immaginarvi anche Sherlock Holmes tossicodipendente? Bè, Rob Doherty ci è riuscito. Non solo: l’ha ideato e prodotto. E ne ha fatto un telefilm che unisce la leggenda alla realtà contemporanea. Così nasce Elementary, la cui seconda serie sta andando in onda ora, in Italia.

In molti sicuramente avranno storto il naso a vedere la bella Lucy Liu nei panni di Watson col ruolo di terapista di Jonny Lee Miller, alias Sherlock Holmes, che si rileva come un grande attore, capace di rendere giustizia a una leggenda letteraria. Ma Elementary non è solo una reinterpretazione del grande detective ideato da Sir Arthur Conan Doyle: è un’analisi critica del contemporaneo inneggiando al mito.

Da Londra a New York, dall’uomo alla donna, passando per i nuovi e fantastici metodi di allenamento di Holmes – capace di seguire sei TV contemporaneamente e scassinare macchine – questa serie parla un linguaggio moderno, comprensibile dalle nuove generazioni che non possono non conoscere un detective così affascinante e allo stesso tempo imperfetto e perfetto.

Perché se il mondo avanza, crea e distrugge, di una cosa possiamo stare certi: ci sarà sempre bisogno di Sherlock Holmes.