The Adventure of the Duke’s Study, di Luca Sartori – The John H Watson Society,

2015. pp. 45.

Questo racconto rappresenta un evento in un certo senso storico, in quanto si

tratta di uno dei primi, se non il primo esempio di un apocrifo scritto in inglese e

pubblicato negli Stati Uniti da un autore italiano. E il merito di questa novità va

al nostro Luca Sartori, che, con il patrocinio della John H Watson Society e il costante incoraggiamento e aiuto di Alessandra Calanchi, ha scritto questa storia

che rappresenta il primo numero della collana “The Fiction Series” edita dalla società americana, dopo la “Monograph Series” inaugurata l’anno scorso.

L’iniziativa era stata caldeggiata da Don Libey, “Buttons” della JHWS, prematuramente scomparso nello scorso mese di marzo.

Per l’occasione Luca dimostra di avere raggiunto una buona prosa watsoniana

anche in lingua originale, un traguardo non da poco, considerando che ha soddisfatto anche gli esigenti palati dei madrelingua. Venendo alla storia, ci troviamo nel Canonicissimo 1895 e Watson deve affrontare il problema della scomparsa di Holmes, che non si fa vivo in Baker Street da una settimana. Il dottore dovrà cercare di emulare i metodi del suo amico e andare in cerca di indizi per scoprire cosa sia accaduto al detective. Quasi subito saltano fuori elementi che fanno pensare che Holmes sia stato impegnato in ricerche storiche che riguardano la realizzazione del famoso Studiolo del Duca nel Palazzo Ducale di Urbino.

Mycroft Holmes e un tale professor Redgrave indirizzano Watson sulla pista giusta,

ma è il giovane Irregolare Billy a recapitare al dottore un messaggio del detective

che lo conduce in una spedizione notturna a un determinato indirizzo… e

qui mi fermo, per non svelare troppo.

Il problema principale nello scrivere una storia ispirata da elementi storici e

artistici sta nell’evitare l’effetto “spiegone”, che appesantisce la narrazione e conduce inevitabilmente alla noia per il lettore: Luca evita abilmente questa trappola disseminando le necessarie spiegazioni in più fasi, dagli appunti di Holmes al colloquio con il professore (forse quest’ultimo un filo troppo prolisso.) La storia

procede quindi con buon ritmo e, come già detto, con una buona prosa watsoniana.

Manca forse l’elemento del whodunnit, dato che il problema non verte sullo

scoprire il colpevole ma piuttosto sul lato dell’avventura pura e semplice; ma

questo è coerente con il Canone. Qualche piccola discrepanza cronologica (Watson

che nel marzo 1895 ha un ambulatorio e non vive a Baker Street), voluta o

accidentale che sia, possiamo perdonarla facilmente. Ci auguriamo che questo

lavoro ottimamente riuscito sia il primo passo verso il riconoscimento della qualità

degli apocrifisti italiani nel mondo anglosassone.

Il libriccino ha una veste grafica sobria ed elegante, e una carta di ottima qualità;

anche sotto questo aspetto la JHWS ha colpito nel segno.