Donne col rossetto nero di Alessandro Defilippi, Einaudi 2017.

Gli elementi per un buon noir ci sono tutti. A partire dal personaggio principale, il colonnello Enrico Anglesio dei carabinieri Legione Liguria, sulla cinquantina, ex partigiano, curato nei minimi particolari. Sigaro toscano perennemente in bocca che sembra vivere di vita propria, morde e recalcitra “come un animale maltrattato” (quello di certi dettagli “umanizzati” un classico espediente di molti scrittori), buon vino Pigato ma anche Whisky al bisogno che fa lo stesso, buona forchetta e buona cucina all’osteria di Cicin, pure in persona al mercato di piazza del Carmine (olive taggiasche, pinoli, patate e cipolle, fagiolini…),  buona musica. Suo sogno vincita al Totocalcio, casetta a Boccadasse e pesca tutti i giorni. Insomma sembrerebbe un tipo normale, preso da certi piaceri della vita se non fosse per la morte della moglie Laura avvenuta per colpa di un incidente automobilistico (finita in mare ma corpo non ritrovato), malata di mente e ricoverata più volte in manicomio, dalla quale sembra non staccarsi. Paura, ossessione, luce grigia che tormenta.

Insieme al capo i sottoposti, ognuno con le proprie caratteristiche tra cui non manca quello che si esprime nel dialetto del luogo. Ovvero Genova degli anni Cinquanta (più precisamente 1953), i suoi carruggi, le osterie, la spiaggia di Boccadasse “con il cielo color perla”, una città “strana”, “piena di luoghi inattesi”.

Poi i morti ammazzati. Quattro donne (c’è anche un uomo) con i corpi ancora caldi, nessun segno di violenza, causa arresto cardiaco. Particolari: truccate come il cerone degli attori e bocca con il rossetto nero. Accanto a loro un astuccio d’argento.

Naturalmente l’assassino che si muove tra le frasette in corsivo (ce l’ha con le “putride”), ormai cliché assodato e consolidato.

Non manca l’atmosfera del tempo. Qui con Taioli, Latilla, Edoardo De Filippo, Gilberto Govi, la Lambretta (mi ricorda le diatribe tra lambrettisti e vespisti), la Guzzi, Tex, Akim, L’Uomo Mascherato, Mandrake, Capitan Miki, Gordon, i piccoli imprenditori che vengono inghiottiti dai grandi come l’Ansaldo nell’Italia del dopoguerra, le case chiuse con l’amabile maitresse.

E ancora qualcosa di sentimentale attraverso il nuovo rapporto di Enrico con Letizia, figlia di un imprenditore (come andrà a finire?). Personaggio, il Nostro, al centro della scena, dentro un’atmosfera inquietante, visioni, cose strane, un biglietto recente con la firma della moglie morta otto anni prima, la porta aperta che aveva chiuso, gli abiti che cambiano di posto, l’incubo premonitore, la solita luce grigia che sconforta.  Da inserire nella schiera dei tormentati   che vanno di moda. (vedi, per esempio, il commissario Luigi Alfredo Ricciardi di Maurizio De Giovanni).

Non manca niente, dicevo, per la completezza dello schema di lavoro, come uno spunto importante che si affaccia alla mente per svanire subito negli anfratti della memoria (anche questo un classico). Aggiungo ricatti, lettere minatorie, il complesso di Edipo, la voglia di avere un figlio e…basta. Un senso di malinconia e di straniamento serpeggia per l’intera vicenda.

L’autore ha sfruttato con destrezza tutti i possibili elementi, ormai catalogati e conosciuti (difficile tirar fuori delle novità), che concorrono a formare il plot di un noir di buon livello.