Una breve premessa autobiografica: nel 1998 sostenni all’università l’esame di criminologia, prendendo uno dei non frequentissimi trenta della mia scapestrata carriera universitaria. Interessato fin da bambino a tutto quanto si riferisse al delitto ed all’investigazione (nella realtà e nella fiction), corteggiavo questo esame fin dall’iscrizione al corso di laurea in Giurisprudenza e, appena potei, mi procurai i testi di riferimento, che iniziai leggere trepidante ed un poco intimidito. Ne fui in pari tempo affascinato e disorientato, gli autori non sempre riuscivano a trasmettere una percezione chiara, precisa della disciplina, delle sue finalità e dei suoi possibili impieghi professionali. Del resto, la criminologia si è più volte trovata a riflettere su se stessa ed a ridefinire i suoi obiettivi. Iniziai comunque a coltivare l’aspirazione di dedicarmi proprio alla ricerca accademica in tale ambito, aspirazione ancora confusa e indefinita, ma sufficientemente solida da indurmi, superato l’esame, ad ulteriori letture ed approfondimenti. Fu allora che acquistai in edicola un albo a fumetti intitolato Gli occhi dell’abisso, il primo numero di “Julia – Le avventure di una criminologa”.

Seguivo da anni la produzione del suo autore, Giancarlo Berardi, di cui avevo molto apprezzato Ken Parker e, ovviamente, la magistrale trasposizione a fumetti delle Avventure di Sherlock Holmes, realizzata graficamente da Giorgio Trevisan. Era lo stimolo che stavo cercando, il punto di riferimento che mi era fino ad allora mancato. La protagonista della serie, Julia Kendall, è una docente di criminologia presso l’università di Garden City che, di tanto in tanto, collabora con la polizia in qualità di consulente. Fumettisticamente parlando, fu un colpo di fulmine: le storie di Berardi rivelarono fin da subito l’attitudine ad integrare gli studi che stavo conducendo, arricchendoli di una visione prospettica, di compiutezza teorica, di concretezza professionale; un personaggio immaginario ai miei occhi rendeva – in modo solo apparentemente paradossale – più netti e concreti i confini e le finalità di una disciplina che certe trattazioni accademiche presentavano sfuggenti, problematici, esoterici. Insomma, negli albi della criminologa di Garden City ritrovai, mutatis mutandis, una attitudine chiarificatrice-ispiratrice non dissimile da quella di cui sono pervase le pagine di Conan Doyle dedicate a Sherlock Holmes ed alla sua professione di consulting detective.

È, dunque, con grande emozione che oggi, dopo quasi vent’anni, ho riletto le prime due storie di Julia, riproposte a colori nel sontuoso volume Julia & Myrna. Diario di una psicopatica!, che Sergio Bonelli Editore ha da poco proposto in libreria. Le vicende (Gli occhi dell’abisso, appunto, e Oggetto d’amore, soggetto e sceneggiatura di Berardi e disegni, rispettivamente, di Luca Vannini e Corrado Roi) vedono la giovane criminologa, cui l’autore ha attribuito i tratti somatici e l’innata eleganza di Audrey Hepburn, impegnata ad indagare sui cruenti omicidi di quella che diverrà, con il passare del tempo, la sua più tenace ed agguerrita avversaria, la camaleontica Myrna Harrod, qui ai suoi esordi come serial killer.

Le storie di allora mantengono intatta la loro forza e dinamicità, la loro capacità di declinare tematiche di notevole impatto emotivo, stemperandole a tratti con un’ironia sottile ed arguta, mai caricaturale e fuori registro. L’autore segue i suoi personaggi con profonda partecipazione, curiosità, rispetto e pìetas, ne condivide le sorti con una tale capacità di immedesimazione da restituirli al lettore con assoluta immediatezza. A distanza di anni, le storie di Berardi continuano a distinguersi da tanta produzione poliziesca contemporanea proprio perché capaci di affiancare credibilmente alla descrizione, pur rigorosa e dettagliata, delle procedure di polizia e delle tecniche di investigazione scientifica, lo scandaglio dell’animo dei personaggi, a cominciare della protagonista. Di Julia si evidenziano, oltre che l’acume investigativo, le fragilità, le vulnerabilità, le angosce, i dubbi, le frustrazioni, ma anche la forza d’animo, la fermezza, la capacità di ascolto e comprensione. Ne emerge una personalità compiuta, reale nelle sue molteplici sfaccettature, nella sua plausibile complessità. La giovane criminologa è, poi, circondata da personaggi ricorrenti tratteggiati a loro volta in modo assai vivido: penso alla vulcanica e protettiva governante Emily, dal pittoresco vocabolario; al tenente Webb della polizia di Gadren City, con cui la criminologa pone spesso in essere accesi confronti dialettici; al detective privato Leo Baxter, efficiente e scanzonato, della cui collaborazione Julia spesso si avvale nel corso delle sue indagini; alle figure di contorno, mai banali o stereotipate. Un ricco universo di personaggi, insomma, perfettamente delineati e calibrati fin dal loro esordio. A ciò si aggiungano ritratti di notevole profondità ed intensità: nel secondo racconto, Oggetto d’amore, incontriamo, ad es., una giovane affetta da ritardo mentale che, con la sua disarmante semplicità, giunge ad affezionarsi a Myrna Harrod, rapportandosi a lei con una tenerezza che pure non distoglierà l’omicida dalla sua deriva patologica.

Nelle due vicende riproposte nel volume come, del resto, in tutta la produzione successiva, non mancano sviluppi in cui emerge la vasta cultura (anche) criminologica dell’autore, la cui già menzionata capacità di immedesimazione ne avrebbe fatto un ottimo profiler. Si pensi all’analisi effettuata da Julia, nel primo episodio, della camera da letto di una ragazza rimasta vittima della Harrod: “Le camere degli adolescenti si assomigliano tutte”, considera tra l’altro la criminologa, “con quella commistione agrodolce di giochi fanciulleschi e pulsioni adulte”. Nel medesimo Gli occhi dell’abisso, poi, la Kendall propone alla polizia un articolato ed argomentato profilo dell’omicida che, per rigore ed approfondimento, supera di gran lunga il classico, sbrigativo e polivalente “maschio, bianco, tra i venticinque ed i trentacinque anni”, etc., invariabilmente riproposto in tante produzioni televisive che mettono in scena analisti comportamentali. Nel dialogo con cui si apre Oggetto d’amore, infine, l’autore offre un interessante confronto tra le peculiarità analitiche dell’indagine poliziesca (“un processo logico che prende le mosse da un grande avvenimento e tende a restringersi fino all’individuazione del delinquente”) e quelle dell’analisi criminologica (orientata su “quei fattori specifici suggeriti dal modus operandi e dall’analisi comportamentale, ampliandoli fino a ricostruire la personalità dell’assassino e il suo profilo psicologico”). Approcci differenti ma destinati da integrarsi a vicenda come, nella saga di Julia, i personaggi che rispettivamente li incarnano.

Le peculiarità del tratto grafico dei due disegnatori, Vannini e Roi, forniscono differenti visioni della protagonista e del suo universo: più vivace la prima, più rarefatta la seconda, colgono comunque entrambe in modo efficace la vena espressiva dello sceneggiatore, profonda, pacata, meditativa, pur se capace di gestire nel modo migliore anche gli sviluppi più dinamici e concitati delle vicende.

Un volume dunque ricco di suggestioni e spunti che, come ci dice Berardi nella nota introduttiva (che, tra l’altro, rievoca un gustoso episodio della sua infanzia, che lo ha precocemente avvicinato al “crimine”) inaugura la riproposizione di tutti gli episodi della saga che vedono Julia impegnata ad indagare su Myrna Harrod, “la più perfida, crudele, cinica, affascinante serial killer che si conosca”. Attendiamo con ansia i prossimi volumi.

Illustrazione di copertina: Cristiano Spadoni