Titolo: Il Palazzo del Diavolo

Autore: Massimo Pietroselli

Editore: Mondadori

Anno di pubblicazione: 2005

Il Palazzo del Diavolo si trova a Roma, a San Silvestro di Curtatone, in via Oratorio N.4. Venne realizzato a metà del XVIII secolo e si tratta di una villa con giardino annesso. Attualmente risulta essere di proprietà privata anche se le condizioni di conservazioni sono cattive. Il complesso risulta avere una disposizione ad L ed è costituito da diversi corpi di fabbrica. Il corpo principale si presenta come un volume compatto, con pianta rettangolare, che si sviluppa su due piani più mansarda. In posizione arretrata si trova un edifico minore, inserito nel complesso attorno alla metà del 1800, caratterizzato da una loggia a serliana che si sviluppa su entrambi i piani. Infine vi è un altro corpo rustico disposto perpendicolarmente rispetto agli altri due. All’interno del confine di proprietà della villa è presente una cappella.”

Questa è la descrizione del Palazzo del Diavolo, visto con gli occhi di oggi, quelli dei frenetici abitanti del ventesimo secolo, e proprio da qui parte l’intrigante opera prima di Massimo Pietroselli, vincitore del Premio Tedeschi. Ma non è questa la prospettiva desiderata dall’autore per rivelarci i suoi misteri, perché la sfida che lui ha scelto è molto ma molto più impegnativa. Non solo ha la pretesa di trascinarci in un giallo vorticoso e ricco di colpi di scena, ma soprattutto ha la presunzione di volerci trasportare, anima e corpo, in un fascinoso viaggio verso il passato di una città che oggi non esiste più. Una città eterna, certamente, ma costruita nei secoli strato su strato, attraverso sedimentazioni strutturate, ognuna delle quali cela e nasconde la sottostante. E lo strato su cui Pietroselli ha deciso di sollevare un velo è quello della Roma del 1875.

Il 20 Settembre del 1870 l’esercito italiano, dopo l’abbandono delle guarnigioni francesi, entra in Roma, ponendo fine all’egemonia dello Stato Pontificio. Ne nasce un periodo confuso dove due fazioni opposte si scontrano e si combattono in giochi di potere spesso occulti e insidiosi. La modernità che avanza trova fieri e indomiti oppositori soprattutto tra le antiche famiglie nobiliari fedeli al Papato. Nel 1871 la casa regnante dei Savoia sceglie proprio Roma per portare avanti il progetto dell’unificazione d’Italia, ma la città eterna è ancora ben lontana dal possedere i requisiti di una capitale. Attraverso la breccia di Porta Pia il nuovo esercito italiano entrato a Roma, finisce per scoprire che appena fuori dall’altra porta, quella di San Paolo, c’era un altro nemico da combattere. La malaria che imperversa incontrollata, sacche di criminalità e brigantaggio nei vicoli e nelle campagne, un popolo rozzo e ignorante, abituato a vivere schiacciato tra il predominio di una classe nobile ancora legata al Papato e gli antichi privilegi clericali. Nessuna traccia della moderna borghesia illuminata e liberale. Roma con i suoi 250.000 abitanti è un vespaio di conflitti inesplosi su cui il governo di Vittorio Emanuele II tenta faticosamente di imporre un nuovo status. E sono proprio gli investimenti del nascente regno d’Italia a conferire alla città la nuova spinta in avanti che gli consente, in soli trenta anni, di raddoppiare la popolazione e di raggiungere il suo vero ruolo di capitale, all’altezza di tutte le altre capitali europee. A costo però di grandi sacrifici. Il benessere economico, le nuove infrastrutture e il piano edilizio, i muraglioni del Tevere, la crescita sociale, richiedono un prezzo molto caro da pagare, quello di una corruzione endemica che presto dilaga ovunque.

E’ in questa cornice che Pietroselli innesta il suo enigma, peraltro costruito magistralmente secondo i canoni inconfondibili del giallo di razza. Dicono di Pietroselli che sa come usare i mezzi narrativi, ma io dirò di più. Utilizzare le infrastrutture narrative è cosa da poco: pilastri, impalcature, sostegni di collegamento, archi e architravi. Il difficile è non farle vedere e Pietroselli sa come si fa a ricoprire l’intonaco con delicati stucchi, eleganti decorazioni e preziosi rivestimenti. Le sue introspezioni psicologiche, lo spessore dei personaggi, la profondità dell’ambientazione sono tali che sembra di assistere a pagine animate di vita che sotto i nostri stessi occhi, come i libri cartonati di favole per ragazzi, si dispiegano in sinuose costruzioni tridimensionali.

Tra burocrazia e ottusità di funzionari ammuffiti dall’ingordigia, tra doli amministrativi e piccole truffe quotidiane, tra microcriminalità e sovraffollamenti, si dipana sicura una trama che mira al finale dritta come una freccia. Tutto parte nell’antico cortile di Palazzo Costanzi, il Palazzo del Diavolo ormai abbandonato che l’immaginazione popolare riveste di oscuri significati e di inquietanti leggende. Su tutto domina l’imperante nostalgia per il regime pontificio che con le sue lunghe braccia ancora arriva a toccare interessi e a manovrare leve. Con l’ombra inquietante di un palazzo che proietta malefici presagi di sventura, si muovono due rappresentanti delle opposte fazioni politiche e sociali che in quei giorni dominano su Roma. Corrado Archibugi, moderno esponente della nuova efficienza piemontese, Ispettore di polizia, e Onorato Quadraccia, perfetto prototipo dello “sbirro” di quartiere, insolente e scomodo come solo certe “pellacce” sanno essere. Sembra che abbiano a cuore due giustizie diverse, Archibugi e Quadraccia, ma l’autore di questa ricca parabola, satura di storia romana, mostra perfettamente come, in momenti di grandi mutazioni, il giusto cardine sia sempre quello del compromesso. Una sapiente mistura di antico e di modernità, uno sguardo al passato per conciliare meglio la corretta visione del futuro, un doppio passaggio che ci transita indenni, con la perfezione di un motore a due tempi, dalle sponde del 1875 fino ai giorni nostri. Un viaggio avvincente nel giallo classico che schiaccia l’occhio al noir e, come una macchina del tempo, proietta la sua immagine in un secolo che non c’è più, ma le cui tracce sono ancora impresse, nette e visibili, sul selciato che calpestiamo tutti i giorni.

Per i romani è un sogno percorso a ritroso tra vicoli e palazzi più o meno noti e riconoscibili, per tutti gli altri, un’occasione indimenticabile per compiere un tragitto turistico che è al tempo stesso storico e geografico. E su questa duplice traccia all’autore va dunque un duplice ringraziamento. Da parte degli appassionati giallisti, accaniti divoratori di trame convincenti e di atmosfere retrò, e da parte di coloro che, come me, amano il passato e la storia, la memoria e il ricordo. Una scommessa vinta, quella di Pietroselli, e un patto con il lettore che non tradisce, ma anzi merita di essere tacitamente rinnovato.