Il libro

Lisa Countryman è una ragazza bellissima. Ha sangue giapponese e nero insieme  - “Al momento della pubertà (…) fu come se i suoi tratti negroidi e quelli asiatici si fossero fusi insieme, ma rinnegandosi a vicenda, diluendo entrambe le caratterizzazioni etniche, e lei diventò carina e chiara, quasi bianca, di un giallino pallido, pallidissimo. Adesso la prendevano per italiana, israeliana, hawaiana, francese, nativo americana, russa, libanese: per qualcos’altro, qualcosa di esotico e scuro, ma non troppo scuro, non veramente scuro, non – Dio ce ne scampi – nero. Quando le chiedevano “Che cosa sei?” escludevano a priori che fosse nera, perché il nero era troppo minaccioso, scomodo, non era un colore divertente.” -  e ha una storia drammatica: adottata a quattro anni da una famiglia americana, sente che l’incertezza delle sue origini le ha segnato la vita ed è questo segno indelebile e questo senso di vuoto che la spingono a partire, in un viaggio doloroso e necessario alla ricerca della sua stessa identità.

Ha solo ventitré anni, e il Giappone si rivela una terra più difficile di quella che ha lasciato, oramai estranea. Ma Lisa non resiste al fascino di una cultura capace di osannare la bellezza e la seduzione, alle tentazioni di una città ipermoderna dove le geishe, come un tempo, sono accolte come regine dai più arroganti uomini di potere.

Lisa cerca Verità, Bontà e Bellezza. O anche solo un senso. Ma troverà la morte, ingannata dalla propria ingenuità, dall’attrazione irresistibile che le fa sbattere le lievi ali su una luce artificiale destinata a bruciarla. Prova a far luce sulle sue origini ma resterà impigliata nelle mille luci di una città crudele, di una luna lontana.

E ci vorranno molti anni, e molte altre danze di seduzione e potere, perché un uomo –anche lui alla ricerca di se stesso – riesca a fare giustizia sulla piccola storia di una ragazzina troppo fragile, troppo sola, troppo bella.

 

L’autore

Nato a Tokyo nel 1960 da genitori coreani, Don Lee è cresciuto tra il Giappone e gli Stati Uniti, dove vive attualmente; docente di scrittura creativa e giornalista, ha pubblicato il pluripremiato La luna lontana e il profumo del tè e la raccolta di novelle Yellow, vincitrice del Sue Kaufman Prize for First Fiction e del Members Choice Award from the Asian American Writers’ Workshop. Al momento sta scrivendo un nuovo romanzo, Wrack and Ruin.

 

I premi vinti da

La luna lontana e il profumo del tè:

American Book Award

Edgar Award for Best First Novel

Mixed Media Watch Image Award for Outstanding Fiction

L’Incipit

Tom Hurley si tuffò nella piscina dell’ambasciata, scivolando nel fresco silenzio dell’acqua. All’altro capo del mondo era il duecentoventiseiesimo giorno di prigionia degli ostaggi in Iran, ma qui a Tokio, il 17 giugno 1980, era una giornata placida e tranquilla e, alle sei del mattino, l’aria era già calda e un po’ appiccicosa. Tom si trovava in Giappone già da una settimana come funzionario dell’Ufficio Esteri, ma per qualche motivo aveva ancora problemi con il fuso orario e continuava a svegliarsi a ore assurde. Inquieto e nervoso, decise di fare qualche vasca prima di andare al lavoro. La piscina era proprio dietro la Grew House, il più grande dei tre bassi condomini del complesso residenziale dell’ambasciata americana, tetri edifici d’acciaio e cemento progettati ai tempi in cui la spoglia funzionalità industriale era davvero una scelta stilistica. Non che Tokio fosse molto meglio.

A dir la verità, considerata la raffinatezza della cultura giapponese, Tom era rimasto sorpreso dalla bruttezza diffusa della città, con tutti quegli uffici e negozi pigiati malamente in ogni centimetro disponibile. No, ciò che distingueva quel posto, adagiato su una collina poco distante da Roppongi – la sede dell’ambasciata era così vicina che potevi andarci a piedi – erano le dimensioni, la vastità: cinque ettari tondi di verde, di alberi e prati, con piscina, campi da tennis e parcheggi, tutto così grande, un’esagerazione che di certo i giapponesi avevano trovato arrogante. Tipico degli americani, che tendevano sempre a espandersi, a prendersi più spazio del necessario.

Quella mattina, però, Tom si stava godendo – senza particolari sensi di colpa – tutti i venticinque metri di piscina che aveva per sé: in giro non c’era nessuno, tranne il giovanissimo bagnino. Al liceo, Tom era stato nella squadra di nuoto e quando saltava fuori il discorso a volte lasciava intendere che avrebbe potuto continuare a livello agonistico anche all’università, se solo fosse andato in un posto più piccolo dell’UCLA.

Esagerava, e sotto parecchi punti di vista. Sapeva essere vanitosissimo. Trentun anni, single, in formissima, si dava un gran da fare per mantenersi sempre tonico, asciutto e abbronzato. Era alto – agli altri diceva, quasi vergognandosene, uno e ottantatré – e aveva quei tipici tratti hapa haole dei sangue- misto che piacevano alle donne: capelli neri folti e ondulati, naso dritto, zigomi alti, mascella squadrata e ciglia lunghe, da femmina. Era mezzo bianco e mezzo coreano, ma quando qualcuno gli chiedeva delle sue origini diceva sempre di essere hawaiano, una dichiarazione di neutralità etnica che, il più delle volte, gli risparmiava ulteriori domande.

In acqua si abbandonò al ritmo delle sue stesse bracciate, il lieve rollio del corpo cadenzato dal battito dei piedi. Si concentrò, cercando di perfezionare una tecnica nuova. Da ragazzino, gli avevano insegnato la bracciata a S per lo stile libero, con le mani tenute piatte e spinte all’indietro, come pagaie. Ultimamente, però, aveva scoperto che i campioni usavano le mani in un modo leggermente eppure completamente diverso: durante la bracciata, le ruotavano all’interno e, nell’ultima estensione, all’esterno. In pratica, invece di pagaiare, remavano. Le mani diventano delle specie di spoiler, che più che trascinarti ti sollevavano. Tom si era intestardito su questa tecnica, aveva comprato libri sull’idrodinamica e il principio di Bernoulli e aveva cercato di procurarsi dei filmati sugli allenamenti degli olimpionici. Lui era fatto così. Si fissava, si lasciava ossessionare, studiava, s’allenava e poi, nel giro di pochissimo, lasciava perdere tutto. Era un dilettante, un dilettante con manie di grandezza, praticamente in tutto quel che faceva, non riusciva mai a portare a termine niente, specialmente se si trattava di donne.

Ma adesso, lì nella piscina, era ancora presto; ancora non gli era passata l’infatuazione per le mani, per come parevano spingerlo in avanti, quel piccolo aggiustamento dell’angolazione che lo rendeva più penetrante, più veloce, che lo faceva volare.

Mentre raggiungeva la parte più profonda della piscina, sentì dietro di sé il rumore di un tuffo. Fece la virata a capriola e, a metà vasca, vide un altro nuotatore arrivare dalla direzione opposta. Era una donna, con una cuffia bianca e un costume intero blu, sgambato. Nuotava bene, con bracciate morbide, le gambe lunghe che battevano con energia. Quando s’incrociarono, il viso di lei era una macchia indistinta, un lampo di pelle nella schiuma bianca. Tom arrivò alla virata ma, dato che riusciva a fare la respirazione solo a destra, la perse un attimo di vista. Quando si girò, la incontrò di nuovo a metà strada, e andarono avanti così, superandosi a vicenda per dieci minuti. Due navi.

Tutto d’un tratto, Tom s’accorse di una cosa. All’inizio era stata quasi impercettibile, poi non ebbe più dubbi: la donna stava accelerando. Presto colmò la distanza che li separava, quindi proseguirono affiancati. Lei gli restò accanto per quattro vasche, sincronizzando perfettamente le bracciate con le sue, e andarono avanti così, a un ritmo rilassato, come due amici che fanno una corsetta insieme. Tom ebbe più volte l’impulso di farle un cenno di saluto. A poco a poco, però, lei cominciò a distanziarlo. Tom accelerò, ma lei di nuovo lo distaccò di una mezza lunghezza. Aveva voglia di giocare, lo prendeva in giro, voleva farsi rincorrere. Ogni volta che lui accelerava, lo faceva anche lei, ancora e ancora, finché alla fine si ritrovarono entrambi a nuotare sparati, in piena gara.

La tecnica di Tom andò subito a farsi benedire. Voleva solo accelerare il ritmo delle bracciate e, per stare al passo con lei, si era completamente dimenticato della storia delle mani. Non era giusto, pensava, le braccia e le gambe di piombo.

Quand’era entrata in piscina, lui era lì a nuotare già da un bel po’. L’aveva beccato quand’era stanco, fuori forma, impreparato. Ormai gli stava dando due lunghezze. Si costrinse a nuotare più veloce, gli facevano male tutti i muscoli, aveva i polmoni strizzati, gli occhi pieni di puntini e una mezza voglia  di svenire. Si impegnò allo spasimo. La stava raggiungendo, l’aveva quasi presa. Arrivati a fine vasca, virarono insieme. Tom s’accorse d’aver preso una bella velocità adesso, gambe e braccia perfettamente sincronizzate, andava veloce, era invincibile.

Ma alla virata successiva, lei non c’era più.

Si fermò, tirò la testa fuori dall’acqua. La piscina era deserta.

Se n’era andata. 

La luna lontana e il profumo del tè

Don Lee

Apogeo Editore

dal 18 ottobre in libreria

pp 352 - Euro 14,50