Julian Symons è un altro personaggio che meriterebbe di essere maggiormente conosciuto.

Nato nel 1912 e morto nel 1994, è stato uno dei critici maggiori del genere poliziesco.

Se fossimo superstiziosi, lo ricorderemmo anche solo per la curiosità di essere nato e morto lo stesso giorno dello stesso mese, 1° gennaio. E se nessuno, interrogato, dicesse di non sapere chi fosse, basterebbero almeno le sue  prefazioni e postfazioni pubblicate a corollario dei romanzi di Agatha Christie negli Oscar Mondadori a partire dalla seconda metà degli anni ’70 del novecento.

Poeta, scrittore, critico, e anche storico militare (nonostante avesse tentato di evitare l’arruolamento nei  Royal Armoured Corps e di non partire per il fronte nella Seconda Guerra Mondiale, definendosi un obbiettore di coscienza, e poi congedato nel 1944 dopo aver riportato lesioni ad un braccio dopo una battaglia), dal 1947 cominciò la sua carriera di scrittore, che può esser distinta grosso modo in due grandi parti: la prima, in cui egli sfornò romanzi legati stilisticamente al giallo classico tradizionale; ed una seconda parte, cui appartiene la maggior parte dei suoi lavori, versata invece al giallo psicologico. Del resto la distinzione dei suoi lavori in due grandi scuole, è funzionale anche alla sua attività di scrittore e alla sua conversione al genere psicologico: infatti, nel 1972, Symons pubblicò uno dei testi di critica giallistica più importanti del secolo, Bloody Murder: From the Detective Story to the Crime Novel”, che fu premiato con un Edgar Award Special, in cui sottolineava la diversità tra “the classic puzzler mystery” il giallo tradizionale a enigma, quello deduttivo propriamente detto, della grande tradizione anglosassone di Christie, Carr, Van Dine, e quello della “crime novel”, genere più moderno, che si districa nell’ambito della psicologia dei personaggi e propone un universo più calato nella realtà della vita di ogni giorno. Va detto anche che dal 1946 al 1956 curò rubrica settimanale di libri per il Manchester Evening News.

Già nel 1957 aveva proposto una lista dei 100 migliori polizieschi (sino ad allora) pubblicata sul Sunday Times (dove

tenne una rubrica di critica dal 1958 al 1968), che partiva dal Caleb Williams di William Godwin del 1794, e finiva con  Compulsion di Meyer Levin, uno per ogni anno, con regolarità solo dal 1931 (è da tener presente che sono ascrivibili talvolta anche due-tre romanzi per anno, e che curiosamente Agatha Christie compare due volte, Ellery Queen pure, Carr una sola volta, la Sayers due volte).

Sostenne la tesi poi universalmente accettata che la seconda guerra mondiale avesse cambiato il genere in maniera radicale e a riguardo portò molti casi.

E’ stato un autore molto amato, soprattutto da chi si opponeva alla vecchia scuola e sosteneva le nuove leve, ma anche, ovviamente, avversato: non è un caso per esempio che in Italia non sia stato analizzato compiutamente, ma solo citato estemporaneamente, sia ne Il Romanzo Giallo di Benvenuti e Rizzoni (Mondadori), sia soprattutto in Delitti per Diletto – Storia Sociale del Romanzo Poliziesco, di Ernest Mandel (Interno Giallo), un testo di prospettiva marxista, che avrebbe dovuto invece innalzarlo a proprio mentore.