Sono molti i racconti e romanzi brevi che Rex Stout ha dedicato al suo più celebre protagonista, l’atipico investigatore Nero Wolfe, ma l’antologia Three Men Out non ha mai avuto in Italia grande risalto. La prima ed unica volta che è apparsa nel nostro Paese è stato grazie a Gian Franco orsi che, nel 1983, la incluse nel settimo numero della collana I romanzi brevi di Rex Stout, lasciandola nel suo formato originale: in seguito i racconti in essa contenuti sono stati raggruppati nell’opera Nove volte delitto, curata da Marco Polillo.

Dopo vent’anni di assenza, ecco quindi che il numero 1329 de I Classici del Giallo Mondadori presentano “in solitaria” l’antologia Nero Wolfe: le tre ragazze (Three Men Out, 1954).

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Dalla quarta di copertina:

Herman Lewent, perdigiorno diseredato, aspira al patrimonio familiare, ma ci sono di mezzo tre ragazze e forse un delitto: l’unico che può aiutarlo è Nero Wolfe. Anche la squadra dei New York Giants ripone in Wolfe l’ultima speranza: hanno perso un incontro decisivo, ma si è scoperto che quattro giocatori in campo erano stati drogati e un altro assassinato con una mazza da baseball negli spogliatoi. E poi c’è Leo Heller, mago delle probabilità, che sospetta di un cliente e vorrebbe ingaggiare il burbero investigatore, ma viene dissuaso per sempre da un colpo di pistola. Insomma tre partite davvero difficili per Nero Wolfe contro temibili avversari. Quante probabilità ha il noto coltivatore di orchidee di vincerle tutte? Parecchie, direbbe Leo Heller se fosse ancora vivo. E avrebbe ragione.

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Le tre ragazze (Invitation to Murder, da “The American Magazine” aprile 1942)

Ecco l’incipit:

— Non è vero — protestò risentito l’ometto elegante. — Non è affatto un sordido imbroglio familiare. È mille volte legittimo che io voglia sapere cos’è successo del patrimonio di mio padre.

Doveva pesare meno della metà di Nero Wolfe e, nella poltrona di pelle rossa al fianco della scrivania, sembrava sperduto. Nero Wolfe, invece, riempiva comodamente la poltrona fuori misura costruita apposta per lui, e fissava con occhi torvi il nostro probabile cliente, il signor Herman Lewent di New York e Parigi. Da parte mia, me ne stavo alla scrivania armato di matita e taccuino, e mi mantenevo neutrale. Era venerdì e avevo un appuntamento per il weekend. Se l’incarico di Lewent era urgente e l’accettavamo, addio weekend.

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Nero Wolfe vince la partita (This Won’t Kill You, da “The American Magazine” settembre 1952)

Ecco l’incipit:

Alla fine della sesta ripresa, il punteggio era Boston 11, New York 1.

Non avrei mai pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui, seduto sulle gradinate di uno stadio per assistere alla settima partita decisiva delle World Series, mi sarei distratto tanto da adocchiare una ragazza. Non ho niente in contrario all’adocchiare le ragazze, sempre che ne valga la pena, ma non allo stadio, dove la mia mente dovrebbe essere occupata in ben altro modo. Eppure quel giorno lo feci.

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Nero Wolfe fa due + due (The Zero Clue, da “The American Magazine” dicembre 1953)

Ecco l’incipit:

Se non avessi avuto un paio di assegni da depositare in banca, non mi sarei trovato in quel quartiere.

Ma mi ci trovai, e per godermi il sole brillante e la pungente aria fresca di quel mattino, svoltando dalla Lexington Avenue per imboccare la Trentasettesima Strada, percorsi a piedi una trentina di metri fino al numero che cercavo. Scoprii che era un edificio giallo di cinque piani, pulito e ben tenuto, con vasi di piante ai due lati dell’ingresso. Entrai. L’atrio, che non era più grande della mia camera da letto, aveva un tappeto variopinto, un caminetto senza fuoco, alcune piante e un cane da guardia, in uniforme, che mi sfidò con un’occhiata carica di sospetto.

Un omaccione in soprabito azzurro scuro e cappello a larghe falde entrò dalla strada e mi veleggiò accanto, diretto all’ascensore. Nello stesso istante la porta dell’ascensore si aprì per lasciare emergere una ragazza. Quattro persone, in quell’atrio dalle proporzioni ridotte, erano già una folla, perciò dovemmo calcolare al millimetro i nostri movimenti. Nel frattempo mi rivolsi al cane da guardia.

— Mi chiamo Goodwin e devo vedere Leo Heller.

Mi fissò, cambiando espressione, e disse tutto d’un fiato: — Ma siete Archie Goodwin, quello di Nero Wolfe!

La ragazza, che era diretta all’uscita, si fermò a un passo dalla soglia e si voltò. L’omaccione, che ormai era nell’ascensore, bloccò la porta che si stava chiudendo e cacciò fuori la testa. Il cane da guardia continuò: — Ho visto la vostra fotografia sul giornale. Sentite, voglio l’autografo di Nero Wolfe.

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Rex Stout (1886-1975), statunitense, ha dato vita negli anni Trenta a uno dei più grandi investigatori nella storia del giallo, l’eccentrico e coltissimo Nero Wolfe. Insieme al suo assistente Archie Goodwin, uomo d’azione e amante delle donne quanto lui è misogino e inamovibile, Wolfe è il protagonista di una lunga serie di romanzi, caratterizzati da dialoghi brillantissimi e ottime trame, fonte inesauribile d’ispirazione per cinema e TV.

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All’interno, il racconto “Il miglior perdono è la vendetta” di Enrico Luceri.

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Nero Wolfe: le tre ragazze di Rex Stout (I Classici del Giallo Mondadori n. 1329), 182 pagine, euro 4,90 - Traduzione di Laura Grimaldi