Nello sterminato territorio del mio immaginario “criminale” sicuramente un posto di rilievo è occupato dai fumetti. Compagni e non nemici (come un tempo erano considerati dai cosiddetti educatori) dei romanzi, gli albi con le “nuvole parlanti”, erano assieme a film e telefilm una fonte di ispirazione per la fantasia che con gli anni non si è affievolita.

Certo oggi il fumetto sembra superato da altre forme di intrattenimento, in particolare dai videogames che propongono una realtà virtuale nella quale i ragazzi possono entrare e interagire. Quando ero ragazzo io, molti anni fa, le alternative erano di meno e i comics la facevano davvero da padroni. E non solo per i ragazzi, anzi c’erano prodotti che a noi erano assolutamente vietati e, forse proprio per questo, apparivano tentatori.

I fumetti “neri” furono una dannazione peri benpensanti degli anni ’60, tanto da sollevare interrogazioni parlamentari e scandali. Come sempre molto rumore per nulla, anzi quasi una forma di pubblicità che, attraverso il divieto, stuzzicava la fantasia. Albetti di piccolo formato, a due vignette per tavola, si occultavano facilmente. Merce di contrabbando anche per quegli adulti (maschi e femmine) che non dovevano chiedere nulla a nessuno, ma un po’ si vergognavano di mostrare pubblicamente la passione per certe storie.

Eppure da Diabolik a Satanik passando per innumerevoli K in ogni salsa e qualità, tali giornalini riflettevano il gusto dell’epoca, attingevano a piene mani dal cinema e dai romanzi, divulgavano storie e atmosfere in modo popolare ed economico. Personalmente non ho mai avuto una grande predilezione per Diabolik, malgrado i colti riferimenti a Fantomas. Scoprii ormai sul finire della loro stagione sia Kriminal che Satanik, arrivandoci dalla pubblicità che leggevo su testate ammesse per la mia età: i super eroi e Alan Ford.

Era più o meno il periodo in cui passavo dalla lettura di Salgari a quella di Segretissimo, e, complice l’arrivo dell’adolescenza, gli ormoni erano in tempesta. Eh sì, perché nelle pagine di Kriminal e Satanik nelle storie sceneggiate da Luciano Secchi e disegnate da Roberto Raviola (Bunker & Magnus, perdinci!) si scopriva un mondo nuovo, eccitante, stimolante, peccaminoso, nero… un mondo per adulti. Non sono né il primo né sarò l’ultimo a confessare l’ammaliante potere della lingerie curatissima disegnata da Magnus in Omicidio al riformatorio, al sovreccitato stupore di certi tre quarti delle forme generose di Satanik e delle femmine, pericolose, infide, magnifiche, di molte avventure del criminale con il costume giallo e nero. Cose che restano impresse. E oggi che, dopo anni di inutili ricerche tra bancarelle e rivenditori dell’usato troppo avidi che le collane vengono riproposte in eleganti raccolte tutto sommato economiche, non si resiste alla tentazione di collezionare almeno il meglio di quelle stagioni. Magari anche di rileggerle per vedere se la magia ispiratrice del momento ha resistito agli anni, ai capelli grigi e a una maturazione che il tempo, si spera, abbia portato con sé.

Ebbene sì, c’è ancora tutto il piacere di un tempo. Se magari sulle prime alcune storie appaiono sceneggiate e disegnate un po’ di fretta, bastano pochi albi per tornare a quelle atmosfere che evocavano principalmente un’idea di giallo che non nasceva dal nulla ma aveva delle radici precise, forse più individuabili oggi che un tempo. Al di là delle immagini, basti pensare a quelle sagome in nero su bianco che lasciavano intendere tutto senza mostrare nulla, le storie di Kriminal (e sicuramente anche di Satanik alla quale ho spesso dedicato articoli e ho avuto il piacere di raccogliere in un volume oscar quasi vent’anni fa…) erano un concentrato della cultura pulp gialla e thrilling di quegli anni. Anni ’60, badiamo in cui il nostro cinema si muoveva ancora tra gotico e thriller cercando una via che potesse rivisitare i successi stranieri.

Dall’America e dall’Inghilterra arrivavano film di tensione, gotici, horror. E Kriminal li fondeva con storie hard-boiled e classici del giallo, condendoli con una particolare salsa caustica, speziata di sesso che è stata il segno distintivo delle sceneggiature di Luciano Secchi. E il Maestro, l’amato Magnus, riusciva a infondere mistero, licenziosità, ironia anche con pochi tratti. Di certo erano autori per il popolo, ma dotati anche di una cultura generale e specifica in materia da fare invidia a molti.

C’era poi un vigore jamesbondistico, leoniano a volte e picaresco in altre, che sorreggeva l’intero impianto narrativo. Sopperiva là dove la storia forzatamente sorvolava sui dettagli per andare a parlare a un pubblico vastissimo. Erano non solo storie per adulti, ma anche politicamente scorrette secondo i criteri di oggi. Fortemente affascinanti second0 i miei. Trasgressive, oltraggiose. Logan, criminale incallito e feroce, nemico dell’umanità e cinico, tanto da essere impermeabile a ogni sentimento, usava le donne come kleenex, ma sempre si trovava di fronte magnifiche maliarde, non certo remissive o disposte a essere oggetti per l’uomo comune. Assassine, sfruttatrici, malefemmine. Alcune più di altre. Poi, d’improvviso, ti spuntava la disperazione, la solitudine.

E anche Logan scopriva il dolere di dentro, il trauma della perdita di un figlio, dell’abbandono della donna amata. Con lui, schierati su un palcoscenico ideale, perfetto per incantare il pubblico, il suo nemico Milton e la sposa di questi, Gloria, angelicata e infedele bellezza. Tutto un palcoscenico di emozioni preparato e svolto con cura che ti lasciava senza fiato. Alla fine, con l’immediatezza di un colpo di pugnale, riusciva a penetrare anche dalle pagine di un giornalino da consumarsi rapidamente. E da rileggere oggi con attenzione, cogliendo riferimenti a film, a situazioni politiche dell’epoca ma sempre attuali, a racconti e romanzi ispiratori. Attenzione a valutare con sufficienza certi fenomeni, si rischia di passare per ignoranti. E gli autori (e anche i lettori) di Kriminal non lo erano di certo.