Finora ho potuto servirmi dei rapporti che inviai a Sherlock Holmes durante quei primi giorni. Adesso, però, sono arrivato a un punto del racconto in cui mi vedo costretto ad abbandonare questo metodo e ad affidarmi ancora una volta ai miei ricordi, aiutandomi col diario che tenni per tutto quel tempo. Alcuni estratti da quest’ultimo renderanno più vivide quelle scene che sono scolpite in modo indelebile e dettagliato nella mia memoria. Riprendo dunque la narrazione dal mattino che seguì al nostro fallito inseguimento del forzato e alle altre nostre insolite esperienze nella brughiera.

16 ottobre – Una giornata grigia e nebbiosa; pioviggina. Il Castello è avvolto da dense nubi che di tanto in tanto si sollevano a rivelare le monotone curve della brughiera, con le sottili venature d’argento sui pendii delle colline, e i lontani massi che scintillano là dove la luce colpisce le loro facce bagnate. C’è malinconia fuori e dentro. Il Baronetto è in uno stato di cupo abbattimento dopo le peripezie della nottata. Io stesso avverto un peso sul cuore e un senso di pericolo imminente – anzi, pericolo contingente, che è più terribile perché non sono in grado di definirlo.