Dopo Madame Bovary e Anna Karenina, Marina di Malombra è in assoluto uno dei personaggi femminili meglio riusciti della storia della letteratura mondiale, e sicuramente il personaggio femminile di maggiore suggestione ed incisività del panorama letterario italiano di ogni epoca e genere. 

Dotata di una bellezza travolgente, di una personalità conturbante, e di uno spessore quasi diabolico, Marina di Malombra domina letteralmente su tutto il romanzo. Anima tormentata e confusa, vittima delle sue stesse passioni, incapace a vivere fino in fondo le pulsioni impetuose del cuore e dell’intelletto, rimane una figura indimenticabile e vigorosa, capace di lasciare traccia imperitura del suo passaggio nella mente di ogni lettore.

Forte nonostante la sua fragilità, questa donna vive da protagonista il suo destino fino all’ultima pagina. Sebbene sia in qualche modo succube degli eventi, è il suo animo fiero e indomito la tematica centrale del romanzo, un animo che non si piega all’eterna dicotomia tra concretezza e fantasia, dimostrando l’evidente incapacità di adeguarsi a una realtà che tutto sommato non riesce ad accettare.

È questa pulsione interna che spinge una donna ribelle ed orgogliosa a correre irrefrenabile verso una fine annunciata, scandendo le tappe di un viaggio inevitabile verso la follia. Tutto il resto, l’affresco sociale dell’epoca, dettagliato e convincente, la furia della natura, descritta in maniera mirabile, la caratterizzazione dei personaggi di contorno, ognuno dei quali è un piccolo capolavoro, fungono da mera cornice allo snodarsi delle confusioni mentali di questa unica, assoluta ed indiscussa interprete di uno dei romanzi meglio riusciti di tutti i tempi.

Pubblicato nel 1881, non fu la prima prova letteraria di Antonio Fogazzaro, in quanto preceduto da Miranda del 1874 e dalla raccolta di poesie Valsolda del 1876, ma risultò sicuramente l’opera  che contribuì a farlo conoscere ed amare dal grande pubblico, forse ancora di più di quello che viene universalmente identificato come il suo successo maggiore, Piccolo Mondo Antico, di epoca ancora successiva.

In Malombra in effetti, a ben guardare, sono visibili molti segnali precognitori di quella che sarà poi la dicotomia tipica del Novecento letterario. I temi favoriti dall’autore in tutta la sua produzione, cioè quelli del mistero, del misticismo, della follia, dell’opera consolatrice della religione, della ragione contro la dottrina, del mondo reale contrapposto alla sfera spirituale e sovrannaturale, si evidenziano particolarmente qui in questo romanzo, annunciando di fatto la poetica che sarà poi caratteristica del filone della Scapigliatura e del Decantentismo.

Ma Malombra, non bisogna dimenticare, esce praticamente in contemporanea con I Malavoglia di Giovanni Verga, e rappresenta, per il Verismo, la raffigurazione, diciamo “aristocratica”, della realtà contemporanea, contribuendo a fornire uno dei maggiori affreschi sociali e culturali dell’epoca che mai siano stati tracciati.

Aderente dunque ai canoni della Scapigliatura Milanese, ma anche Verista, e soprattutto Gotico, si tratta di un romanzo sorprendentemente attuale, antesignano per certi versi anche del posteriore fenomeno del Romanticismo, in quanto qui protagonista indiscusso è l’animo umano, con tutte le sue complessità e contraddizioni.

Tipici del Romanticismo sono infatti gli incessanti contrasti, e confronti, tra passionalità dei sensi e sentimento religioso, tra pulsioni emotive e rigida morale, tra desideri ardenti e  costumanza sociale.

Le lacerazioni dell’animo che, impotente dinanzi allo svolgersi degli eventi, non riesce in alcun modo a conciliare i diversi aspetti della vita, quello materiale e quello spirituale, l’incapacità di aderire agli schemi precostituiti di perbenismo all’interno di una costituzione sociale che va facendosi sempre più restrittiva, l’aspirazione artistica ad elevarsi sopra ed oltre le abituali consuetudini, l’illusione di essere sempre migliori e diversi da quello che si è, il tentativo pervicace ed estremo di valicare gli ultimi confini, andando oltre e sempre più avanti. Tutto questo fa di Malombra una pietra miliare del canone Romantico, grazie all’esasperazione della soggettività della protagonista, avvicinandosi a grandi passi al Decadentismo.

Solo le opere veramente mature come questa, possono recare al loro interno i germi e le ramificazioni di correnti letterarie tanto diverse tra loro e che comunque si fondono perfettamente in un compendio armonico, conferendo al romanzo tutte le connotazioni del moderno Thriller Psicologico.

La storia, nota a tutti, è di quelle che non si possono davvero dimenticare.

Condita egregiamente di tutti gli ingredienti classici della narrazione, inserita in un contesto sociale adeguato e ritrattistico come un vero affresco sociale dell’epoca, innestata in un’ambientazione naturalistica selvaggia e brutale che drammatizza gli eventi, contiene la giusta dose di misticismo e spiritismo, tesa a sottolineare la raffinata atmosfera sensuale, al limite estremo di un sofisticato erotismo mentale, la reazione esasperata al positivismo dilagante dell’epoca, e i sapienti accenni al paranormale palesati oltre la falsa maschera della maledizione di famiglia e della possessione isterica.

Ambientata in Lombardia, in un lugubre castello posto sulle rive del lago di Como, luogo incantatore e maliardo per eccellenza, che fu tanto caro anche al Manzoni, la vicenda narra di Marina di Malombra, di nobili natali, costretta a vivere in una sorta di malinconico esilio dallo zio Cesare d’Ormengo, che conta di trattenerla con sé fino al momento delle sue nozze, ancora tutte da decidere.

Di temperamento ribelle, portata alla malinconia, votata agli eccessi, Marina vive come una reclusione forzata questo suo isolamento e vaga per le stanze del maniero in preda a vere e proprie crisi mistiche o depressive.

Nel corso di questi suoi vagabondaggi erranti rinviene, casualmente, in un cassetto segreto di un antico scrittoio, delle reliquie appartenute alla sua ava, Donna Cecilia, madre di Cesare d’Ormengo e dunque nonna, anche se indiretta,  di Marina.

Si tratta di una ciocca di capelli, di un medaglione, e di un memoriale, nel quale la sventurata donna narra della sua triste storia. Colpevole di adulterio nei confronti di un giovane e maliardo ufficiale di nome Renato, ella fu costretta a vivere segregata, o forse sepolta viva, nelle stanze più isolate del castello, fino a morirne.