Petros Markaris, nato a Istanbul da madre greca e padre armeno; un irresistibile miscuglio di mediterraneità, di umorismo e di intelligenza, è considerato all’unanimità il più geniale degli scrittori polizieschi di Grecia.

Il suo commissario Charitos è da ormai parecchi anni molto conosciuto in tutta Europa e letteralmente adorato dagli ammiratori del genere; uomo di altri tempi, cinico, ironico, tutto d’un pezzo. Legge solo dizionari, litiga con i bancomat, va in giro con una Mirafiori scassatissima.

Ha una moglie opprimente e un figlia adorata che mantiene agli studi anche se non potrebbe permetterselo.

Il lavoro di Commissario è la sua vita.

In questo ultimo libro edito da Bompiani, La lunga estate calda del commissario Charitos, lo troviamo alle prese con una brutta storia di omicidi, ambientata nel mondo della pubblicità. Parallelamente, scorre

una vicenda terroristica, uno strano dirottamento di un traghetto diretto a Creta.

Atene sempre presente, personaggio fondamentale dei libri di Markaris, appare sofferente nel periodo post-olimpico, ma viva e slendente nelle descrizioni di uno scrittore eccezionale.

D- Nel romanzo si affrontano due problemi; la pubblicità e il terrorismo. Da dove ha tratto lo spunto per questa storia?

R- Devo fare un attimo un passo indietro, per rispondere a questa domanda; spiegando qual è il mio modo di procedere quando scrivo. Io non redigo mai un piano preciso di quella che sarà la trama; ho semplicemente un’idea di massima che poi sviluppo e amplio man mano che procedo. Per questo libro in particolare, l’idea iniziale era di occuparmi della pubblicità, di questo mostro che influenza ogni nostra scelta, ogni momento della nostra vita. Mi sono chiesto: che cosa succederebbe se di colpo un folle cominciasse ad ammazzare i personaggi, I divi della pubblicità? Quale sarebbe la reazione della gente? E poi allo stesso tempo, dato che nei libri precedenti avevo sempre seguito la carriera universitaria di Caterina, la figlia di Charitos, mi sembrava fosse giunto il momento di farle terminare gli studi e farla tornare ad Atene. Quindi la cosa si incastrava piuttosto bene. Ci voleva anche una piccola vacanza per lei e per il fidanzato. Così mi è venuta in mente l’idea della crociera.  E del successivo dirottamento.

D- Senza svelare niente della fine; perché un dirottamento di questo tipo, così anomalo?

R - Perché ho fatto tutta una serie di considerazioni sull’argomento. Mi sono detto: dopo gli attentati di Madrid e di Londra siamo letteralmente bombardati da avvenimenti che ci parlano di un terrorismo molto reale. Io volevo andare alla ricerca di qualcosa di un po’ diverso.  Avevo in mente quindi questi due plot, queste due trame parallele.

D - C’è in questo libro, continuamente, il richiamo alle Olimpiadi del 2004. E’ stato davvero qualcosa che ha cambiato la città, per poi farla di nuovo sprofondare?

R – Sì, lo è stato. Vede, le Olimpiadi sono state orgnizzate benissimo e tutto il mondo ha ammirato ciò che la Grecia e Atene in particolare sono riuscite a fare. Il disastro è stato quello delle costruzioni olimpiche, delle quali parlo nel libro. Costruite con grande dispendio di mezzi e di soldi, solo per un uso temporaneo. Senza alcuna idea a priori di come potessero poi essere riqualificate o adibite ad un uso post olimpico. Con il risultato che adesso questi edifici nessuno vuole prenderli in concessione, nessuno li vuole acquistare. Sono abbandonati e in preda al degrado più tremendo. Sono una ferita aperta e lo resteranno per chissà quanto tempo.

D- La Grecia non ha avuto, nel recente passato, una grandissima tradizione gialla. Quando in Italia è arrivato il Suo primo romanzo della serie di Charitos, “Ultime della notte”, i recensori l’hanno definito il primo thriller greco contemporaneo; adesso qui Lei ha moltissimi estimatori e il Commissario è molto amato. 

 

R- Sì, ha ragione a dire che non c’è stata una grande tradizione gialla in Grecia; solo da pochi anni questo genere letterario è stato riscoperto. Anche se bisogna dire che alla fine degli anni ’50, inizio anni ’60, c’era stato un autore di gialli in Grecia piuttosto bravo. Ma all’epoca il genere era considerato di seconda classe, e quindi non aveva avuto la risonanza che avrebbe meritato. Adesso, ogni anno in Grecia escono molti romanzi gialli; io mi occupo di una rubrica di critica letteraria proprio di questo genere, per una rivista, e quindi necessariamente seguo tutte le nuove uscite. Ogni anno ce ne sono almeno 3 o 4 nuovi in Grecia, certo non tutti validi. Diciamo che io ho avuto la fortuna di essere stato un po’ il portabandiera, di essere stato il primo a uscire con questo nuovo filone. E di aver ricevuto un’ottima accoglienza, sia in Italia che in altri Paesi. Quindi volente o nolente ho finito per essere l’ambasciatore del giallo greco. Come sempre succede in letteratura, c’è sempre qualcuno che fa da apripista. Sono contento di essere stato io!

D- Invece, in Grecia negli ultimi anni c’è stato un gran fiorire di poesia. Genere quasi ignorato negli altri Paesi. Questo influenza il modo di scrivere dei narratori in prosa?

 

R- Certamente, e questo è un problema interessante e che io sento molto. Questa propensione della Grecia moderna nei confronti della poesia è stata una grande maledizione per la prosa. Perché i prosatori hanno un po’ cominciato a prendere il vezzo di adattarsi e di confrontarsi con lo stile poetico. Anche per andare incontro ai gusti del pubblico greco, che adora la poesia.

Quindi la prosa moderna ha adottato stili e scritture tipici della scrittura in versi. Tutto ciò ovviamente a scapito della trama. Invece la tradizione europea in prosa si è sempre basata su storie raccontate in maniera esemplare, senza alcuna concessione al poeticismo. E questo vale sin dal 1800, quando è nato il romanzo borghese. Iniziando da Goethe, si è sempre raccontato in questo modo. E personalmente ho sempre cercato di evitare questa deriva poetica, concentrandomi sulla trama, sul plot, sullo sviluppo di una storia che fosse affascinante per quello che ha da dire al lettore. Quindi posso dire che per me lo stile è secondario; è presente ma non preponderante. 

D - Lei in Italia viene sempre accomunato a Camilleri. Quello che vi unisce non è però tanto il Commissario, non sono i protagonisti; ma è più il sociale, l’ambiente.

R – Sì, ha perfettamente ragione. Ci unisce soprattutto l’attenzione al sociale; io conosco benissimo i romanzi di Camilleri, e li apprezzo molto. Non lo conosco personalmente, purtroppo.

Anche Charitos ha un brutto carattere, come Montalbano, ma è sicuramente un personaggio più normale, più borghese.

Amano tutti e due la buona cucina. E poi certo l’ambiente sociale è molto importante, nei miei romanzi ha uno spessore notevole, così come in quelli di Camilleri.

L’ambiente non è lo sfondo della storia, ma è uno dei protagonisti. Sono abbastanza pochi gli scrittori moderni che compiono o hanno compiuto un’operazione di questo genere; tra questi vorrei ricordare Jean Claude Izzo e Manuel Vazquez Montalbàn.

D- Infatti Atene nei suoi romanzi è personaggio vero e proprio. Irresistibile anche quando lei la descrive in modo negativo. Come avviene questa magia? Qual è il suo vero rapporto con la città?

R- Il mio rapporto con Atene è di amore/odio. In alcuni casi la detesto profondamente, in altri la adoro. Ci sono parecchie parti di Atene che possiedono un incredibile mix di magia e misticismo. Può capitare di trovarsi nella peggiore delle strade del centro, intasata di traffico e polverosa, e poi basta prendere la prima stradina a destra e ci si ritrova di colpo in un luogo paradisiaco, silenzioso, verde, bellissimo. Sono queste cose, di Atene, che mi sorprendono. Il fatto che quando è bella, è bellissima, non ha mezze misure. Proprio per i contrasti che la rendono sexy e accattivante.

E’ un po’ come avere una moglie, o un’amante, che ti tiene sempre sulle spine. Sorprendendoti in continuazione, facendoti arrabbiare e il momento dopo portandoti in paradiso.

D- La fine è sorprendente, Charitos rivela ancora una volta tutta la sua rabbia.

R- Sì, Charitos alla fine dell’inchiesta è arrabbiatissimo. Con i suoi superiori, con i colpevoli e con tutti i greci, che tendono sempre a rimuovere il passato, a metterci una pietra sopra.

(Traduzione dell’intervista a cura di Ariella Germinario)