Sapori assassini a Bombay di Kalpana Swaminathan, Kowalski 2009.

“Dopo aver perso il lavoro all’università, il fidanzato e tutti i suoi libri, la giovane nipote di Lalli si ritrova a condividere un tetto con la zia. Non è certo la soluzione ideale per dedicarsi al suo nuovo romanzo, ma Lalli emana conforto, sagacia e una grazia vicina alla disciplina: quella sessantenne dallo sguardo acuto è infatti per la Omicidi di Bombay l’ultima spiaggia, la mente che risolve i casi più spinosi e sfuggenti”.

E vediamola un po’ più da vicino questa nuova detective lady. Gli anni precisi sono sessantatre, un metro e sessantacinque di altezza, cinquanta chili di peso. Viso da attrice “rugoso, intenso, espressivo”, occhi neri e lucenti, capelli argentati. Mani “quadrate incredibilmente forti”, elegante nel vestire, si muove veloce con grazia. Negata per gli acquisti, non sa mai quello che vuole. Acuta osservatrice non c’è nemmeno bisogno di dirlo.

La storia: un invito da parte di un’amica di Lalli a trascorrere un weekend nella sua bella villa da poco ereditata. Non si può rifiutare. Classico gruppo variegato di persone ognuna delle quali ha il suo classico segreto da nascondere. E non manca il classico temporale, pardon monsone, a rendere la villa isolata. Al centro dell’attenzione il cuoco Tarok Ghosch che pare abbia qualcosa da far ricordare a tutti (o quasi). Suoi messaggi in codice attraverso varie pietanze preparate appositamente per ogni invitato.

Dialoghi, discussioni, notazioni sulla società indiana, dubbi, misteri narrati in prima persona dalla nipote di Lalli. E cibi, cibi e cibi esotici che stuzzicano quantomeno la curiosità. Fino a due terzi del libro quando, all’improvviso, arrivano i morti. Uno, due, tre…E iniziano le indagini della nostra Lalli con riunioni in soggiorno e in terrazza e qualche scappatella fuori della villa. Con le sue idee sugli assassini, con il passato che entra nel presente e c’è pure di mezzo un traffico umano.

Prosa spigliata, sicura, con qualche tocco di grazia un po’ stucchevole e Lalli che resta sfuocata. Un giallo classico e non capisco perché sulla copertina sia stampato “Noir”. Tra l’altro in quarta “Questa donna è l’Agatha Christie indiana. Brividi assicurati”. Che si venda di più?

 

Morte in sala d’attesa di Milton Propper, Polillo 2009.

“Nella sala riunioni dell’ufficio dello studio legale Dawson, MacQuire & Locke di Philadelphia quattro persone si affrontano davanti all’avvocato Dawson, che funge da giudice. A un lato siedono la giovane Adele Rowland, bella e altera, e suo fratello, l’avvocato Harvey Willard che l’assiste; al lato opposto, il nervoso marito di lei, Allen Rowland, con il suo legale, l’avvocato Trumbull. Stanno discutendo la causa di un divorzio promossa dalla donna nei confronti del consorte accusato di adulterio, e la richiesta di Trumbull di presentare un nuovo testimone a favore del suo cliente- una persona che può dimostrare inequivocabilmente che anche la moglie è colpevole di adulterio- ha infiammato gli animi”.

Non la faccio lunga. La testimone aspetta in un’altra stanza e, come avete capito dal titolo del libro, non più in vita. Morta. Morta assassinata per somministrazione di cloroformio.

Classico giallo imperniato sugli orari, sugli spostamenti dei sospettati, ma anche sul passato che confluisce nel presente. A indagare Tommy Rankin, giovane detective della polizia di Philadelphia: trenta anni (ne dimostra venticinque), bell’uomo, “moderatamente alto”, fronte alta, capelli riccioli castano scuri, labbra sottili, narici nervose, mento volitivo, occhi scuri e penetranti. Vive in un appartamento da scapolo poco distante da Rittenhouse Plaza (ha una domestica per le pulizie), “orgoglioso proprietario di una Pontiac coupé nuova di zecca”. Una certa esperienza alle spalle avendo già risolto il caso sulla strana morte di Mary Young e quello dell’assassino al Quaker Hotel. Niente intelligenza brillante alla Sherlock Holmes, Tommy basa il suo lavoro “sulla logica e sulla perseveranza”, sulla meticolosità, sulla pignoleria. Ascolta e parla ora scettico, ora incredulo, ora sarcastico, sempre imperturbabile (quasi sempre perché almeno una volta si altera parecchio). In perenne attività e movimento (si sposta dove lo richiedono le indagini), riflette, rimugina, controlla e ricontrolla il percorso del suo pensiero. Molti gli indiziati e molti i colpi di scena a ripetizione,

Prosa semplice, concreta, quasi una relazione senza sobbalzi stilistici, magari anche un po’ piatta ma che cattura piano piano con lo svolgersi della storia e con le continue rielaborazioni del nostro detective.

Il suo creatore, Milton Propper, che era gay, ebbe una vita difficile. Finì prematuramente con il suicidio.

  

Un’ombra sulla spiaggia di Ed McBain, Mondadori 2009.