La morte di mia zia di C.H.B. Kitchin, Polillo 2009.

Una zia, Catherine, con molti quattrini, un nipote, Malcon Warren, giovane agente di cambio, che viene chiamato proprio da lei per affidargli la gestione del pingue patrimonio. E qui il lettore anche meno smaliziato sa già come andrà a finire. La povera zia se ne volerà dritta dritta in cielo contro la sua volontà. Manca solo di sapere come. Avvelenata, proprio con il suo quotidiano tonico ricostituente. Ora tocca scoprire chi l’ha uccisa.

E il nostro Malcom ce la mette tutta con schemi e schemini vari per incastrare l’assassino, anche perché uno dei maggiori indiziati è proprio lui che ha dato la fatidica boccetta alla cara zia. E non è un affare semplice districarsi fra tutti quelli che in un modo o nell’altro possono ricavare vantaggio dalla sua morte (un classico). Tra cui, in primis, lo zio Hannibal, secondo marito della zia Catherine malvisto dagli altri parenti.

Scritto in prima persona da Malcom viene fuori un personaggio dubbioso, pauroso (magari di essere avvelenato pure lui), poco risoluto, assillato da pensieri e da continue elucubrazioni fino ad un ingenuo tentativo di auto accusa.

Il racconto si svolge nell’arco di quattro giorni, da venerdì a lunedì con una appendice che chiarisce definitivamente il mistero.

Prosa semplice tendente al banale senza che prenda e trascini il lettore (almeno il sottoscritto). Il critico inglese H. R. F. Kesting lo ha incluso nell’elenco dei 100 migliori gialli di tutti i tempi. Mi sa tanto che sia stato un gentiluomo di manica larga.

 

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