Sento come un doppio dovere personale quello di prendere la parola sia sul romanzo di Luca Martinelli Lo strano caso del falso Sherlock Holmes, appena uscito per i tipi di UR Editore (2011, con una bella Prefazione del Presidente di “Uno Studio in Holmes”, Roberto Vianello), sia nuovamente (vedasi la mia recensione “Il codice Holmes” qui pubblicata il 5/1/2010 http://www.sherlockmagazine.it/notizie/3809/) sul film di Guy Ritchie Sherlock Holmes (2009). Come si può facilmente verificare, al tempo dell’uscita di quest’ultimo io espressi un parere non solo banalmente positivo ma, oserei dire, addirittura entusiastico. Pertanto mi sono accinta alla lettura del nuovo libro di Martinelli (già autore de Il palio di Sherlock Holmes, 2009: lo stesso anno del film) con un certo imbarazzo e una buona dose di prevenzione. A lettura ultimata, però, non posso fare altro che riconfermare quanto scrissi due anni fa, e al contempo esprimere un parere assolutamente positivo anche su questo romanzo, che pure è focalizzato quasi interamente sulla demolizione del film.

Com’è possibile? Andiamo per gradi. Riconosco a Martinelli non solo qualità stilistiche ineccepibili (posso rimproverargli ben poco oltre allo spelling di seltz senza la T) ma anche un plot originale, un ritmo eccellente, e anche contenuti molto apprezzabili nella nostra epoca (vedasi l’accorata difesa della libertà d’espressione da parte di uno Holmes ormai vecchio, sì, ma più smagliante che mai); ed è proprio in virtù di tutto ciò che assolvo a priori Martinelli dall’accusa implicita che forse mi sentirei di fargli. La sua puntuale ricerca di errori e anacronismi nel film di Ritchie mi regala infatti un godimento estremo finché resto nell’ambito del Grande Gioco, ma nel momento in cui esco dai confini delle regole di quest’ultimo mi voglio – perdonatemi – riappropriare del mio sacrosanto diritto di non scandalizzarmi affatto se nel 1891 Sherlock Holmes non poteva essere a Londra, se Watson era già sposato, o se Irene Adler era già trapassata a miglior vita.

Certo, se giochiamo a fare i fondamentalisti, Martinelli ha in parte ragione (in parte perché, a voler essere pignoli, neanche il suo libro è ambientato durante il grande Iato ma oggi, nel 2011, e Sherlock Holmes e Watson non potrebbero essere ancora vivi secondo le attuali cognizioni scientifiche). Ma se usciamo dagli integralismi vedremo che nulla ci impedisce di accogliere nel Canone Allargato sia il film di Ritchie, sia il suo sequel di cui è imminente l’uscita, sia l’arguto pamphlet in forma di apocrifo firmato da Luca Martinelli.

Che dirvi? Io li ho amati entrambi, e non vedo l’ora di gustarmi il sequel del film con tutte le sue scelte improbabili. Non me ne voglia l’amico Luca: il fatto che io abbia deciso di leggere il suo libro prima dell’uscita del Gioco delle ombre mi pare già una bella dimostrazione di lealtà. Una cosa però la voglio ancora dire. Nel risvolto di copertina leggo che l’associazione “Uno Studio in Holmes” (a cui io stessa mi pregio di appartenere) è “l’unico interlocutore e portavoce di Sherlock Holmes in Italia”. Beh, a me che non sono vittima di tentazioni monoteiste questa osservazione fa sorridere. Siamo proprio sicuri che Sherlock Holmes sia d’accordo? La sua grandezza sta proprio nell’essere al di sopra di ogni “bollino blu”, al di fuori di quei confini di carne, di ossa o di carta che ahimé caratterizzano invece noi lettori, noi fans, noi critici, noi scrittori. E’ bene tenerlo a mente: Sherlock con ogni probabilità si fa beffe sia di Guy Rithie sia di Luca Martinelli sia della sottoscritta. E’ ineffabile, inafferrabile e soprattutto invulnerabile. Se non c’è riuscito Arthur Conan Doyle a eliminarlo giù nelle cascate, nessun danno potrà venirgli da rappresentazioni o interpretazioni che possano parerci “inattendibili”. Anzi: ogni volta Sherlock si rinforzerà e sarà più Sherlock che mai.

Detto questo, ammiro in Martinelli la sua eccellente conoscenza del Sacro Canone, il meraviglioso fluire della sua penna, il senso dell’ironia e dell’umorismo che permea le pagine anche quando rischierebbero di scivolare nell’erudizione, o nella malinconia. Il suo romanzo ha un equilibrio perfetto, ed è un gioco raffinato e godibilissimo. Ma lasciatemi, vi prego, anche Guy Ritchie, i film della BBC, e tutto lo Sherlock che è venuto, che viene, e che verrà.