Tra gli autori di narrativa poliziesca Joe Gores è sicuramnte colui che può definirsi l’erede di Dashiell Hammett, vi è sicuramente della pedanteria da cronaca letteraria questo voler trovare predecessori e allievi, questo racchiudere ognuno in una casella predefinita di scuola di genere o di stile. In questo caso la prossimità tra i due autori sembra più evidente che in altre occasioni, entrambi sono scrittori di narrativa poliziesca, entrambi sono stati realmente detective, in oltre Hammett è protagonista dei libri di Gores.

Di  Hammett, romanzo del 1975, che è stato da poco ripubblicato da Mondadori, esiste una prima versione tradotta in italiano Hammett cacciatore d’uomini (è piacevole rileggerlo oggi con i suoi errori tipografici, è verbo essere scritto e’ con apostrofo, e con la desueta impaginazione a doppia colonna per pagina, restituisce un fascino che la nuova versione ha perso), è del 4-3-1979 per la collana Il Giallo Mondadori n.1570.

In appendice c’è un importante saggio-postfazione dell’autore che completa lo scritto con importanti notizie biografiche e con dettagliati riferimenti alla professione di scrittore e di detective operativo di Hammett. Come si diceva Joe Gores è stato anche lui un detective ed è quindi la persona più indicata a tracciare il passaggio evolutivo tra l’Hammett investigatore e lo scrittore, il nucleo del romanzo, oltre la trama avvincente è prorpio questo passaggio, riesce all’autore la resa perfetta dell’atmosfera della San Francisco corrotta del 1928, è questa un’ulteriore prossimità con gli scritti hammettiani.

“Scrivere richiede introspezione e comprensione, cose controproducenti e distruttive per il cacciatore d’uomini. Infatti, lo indurebbe a vedere l’avversario, la sua ‘preda’, come una creatura umana vulnerabile, sofferente, e lui perderebbe così quella scorza emotiva che gli permette di sopravvivere come investigatore”, il brano è ripreso dalla postafzione ed è illuminante proprio per il salto da detective a scrittore, è un passo che chiama in causa l’empatia. Un bravo scrittore empatizza coi personaggi e con l’altro, così riesce a far emergere dalla finzione narrativa un fondamento di verità, così il suo scritto ha maggior probabilità di essere percepito come autentico. Al contrario per un detective l’empatia è un guaio perchè lascia cadere la maschera di cinismo che serve per muoversi in un ambiente corrotto. Ecco perchè è molto difficile poter essere contemporaneamente bravi scrittori e bravi detective, al massimo un bravo detective può essere un bravo scrittore di cronaca, o un bravo scrittore può essere un bravo amministrativo in un’agenzia investigativa. L’eccellenza di chi riesce ad affronatare il mondo criminale con successo non si adatta alla sensibilità e all’empatia che servono allo scrittore; senza voler fornire leggi universali kantiane sembra però che questa dinamica si sia verificata sia

in Hammett che in Gores nel loro passaggio al bosco narrativo.

“Il lavoro da detective e quello da romanziere raramente possono permettersi il lusso di essere precisi quanto quello dello studioso, ma volgio metter in chiaro che alcuni elementi sono assolutamente reali”, ancora uno spunto importante che ci viene dalla postfazione. Viene specificato come i due ‘mestieri’ non possano essere ‘precisi come la scienza di cui si serve un ricercatore. Infatti la scrittura e l’indagine lasciano più spazio alla sfera della connessione e della fantasia, lo scrittore e il detective debbono mettere insieme fatti apparentemente lontani, e lo fanno facendo uso dell’immaginazione. Uno studioso, mettiamo il caso un critico letterario, deve basare la sua tesi su fatti provati e riscontrabili, altrimenti dal saggio critico finisce per approdare al genere particolare del saggio narrativo o di finzione, genere tutt’altro che diprezzabile e di cui era maestro J.L. Borges.

È piuttosto raro imbatersi in uno scrittore di genere poliziesco che si abbandona a considerazioni di estetica.