In possesso di una cultura approssimativa, quasi analfabeta, nativo di un anonimo villaggio rurale alle propaggini dei Monti Urali, Rasputin è dotato di una forte personalità e di un magnetismo quasi animale, che non bastano però da soli a motivare il controllo sconfinato che esercita a corte sulla ;;zarina Alessandra e sullo zar Nicola II, disposti a concedergli privilegi solitamente riservati solo ai più fedeli tra i dignitari di corte, contraddistinti dall’appartenenza alle antiche famiglie nobiliari, a prova di assoluta dedizione, e legati ai sovrani da stretti vincoli di parentela e di sudditanza.

Rasputin, il “monaco siberiano”, non è nessuna di queste cose, non appartiene alla famiglia reale, non fa parte della casta privilegiata, non sembra possedere alcuno dei requisiti necessari, anzi indispensabili, per potere accedere a corte. Rozzo, analfabeta, sedicente monaco e santone, inadatto alla vita di palazzo, non avvezzo ai lussi e ai fasti di Pietroburgo, dotato di una personalità indipendente e ribelle, è tutto meno che un fine diplomatico o un abile stratega. Che cosa allora lo ha condotto alle soglie del potere presso una delle corti più esclusive e autorevoli del mondo?

Si parla d’ipnotismo, di plagio, di sottomissione psicologica, di una sorta di dominazione mentale esercitata sulla coppia regale da chi si arroga il merito della miracolosa guarigione dello zarevic Alessio, colpito da una grave forma di emofilia e salvato praticamente sulle soglie della morte dal provvidenziale intervento del “santone siberiano”, riuscito, non si sa come, ad arrestare le irrefrenabili crisi emorragiche che lo stanno dissanguando.

Negli stessi anni in cui uomini come Lenin, Trotzkj, Kerenskj combattono una cruenta lotta per il potere che avrebbe mutato l’immenso Paese russo, per farlo precipitare nel ventesimo secolo, a corte il tempo sembra essersi fermato. Un’aristocrazia annoiata e incosciente accetta nel suo mondo la presenza di Rasputin, dapprima con un senso di snobistica novità, poi con un misto di riverenza religiosa e rispetto per il “buon contadino” arrivato dalle lontane campagne siberiane. Solo quando il potere di Rasputin comincerà a sconfinare dalla mondanità nella sfera politica e solo quando si comprenderà che la famiglia imperiale ormai dipende da lui anche nelle più importanti decisioni, i più accorti uomini politici e membri dell’aristocrazia si renderanno conto che quell’uomo va fermato.

Rimane il fatto, storicamente accertato, che Rasputin, sedicente monaco in odore di eresia, appartenente alla setta dei monaci Clisthy, avventurosamente giunto alle soglie di Pietroburgo e introdotto presso i circoli salottieri della capitale per divagare con le sue estrosità personaggi altolocati eternamente annoiati, un giorno viene condotto al capezzale del figlio ed erede dello zar, unico figlio maschio e unica speranza dell’impero russo, per guarirlo da una crisi emofiliaca che lo sta rapidamente conducendo alla morte.