Cittadino di  Padova Ippolito Nievo nasce nel 1831 prima di dedicarsi alle lettere ha studiato Legge nella stessa città, è stato molto di più del semplice autore del romanzo che anticipa l’unità nazionale, la sua figura e la sua morte non ha cessato di creare interesse. È autore di un testo particolare come la Storia filosofica dei secoli futuri in cui intreccia politica e teorie fantascientifiche, tanto che alcuni vi hanno visto una proto-fantascienza. 

Poeta e drammaturgo, articolista avverso alla politica austriaca ha manifestato nelle lettere e nella pratica il suo desiderio di vedere l’Italia unita.

Nievo vuole combattere con i volontari di Garibaldi, si unisce ai Cacciatori delle Alpi nella Seconda guerra di Indipendenza (1859), poi deluso e amareggiato dalla pace di Villafranca si unisce alla spedizione dei Mille. Preferirà sempre questo fronte combattente irregolare a differenza dei fratelli che si arruolano tra i piemontesi. Grazie alla sua personalità votata all’onestà intellettuale e alla precisione, uniti ai suoi studi in Legge, viene assegnato all’intendenza, ovvero l’ufficio amministrativo del piccolo esercito garibaldino, in poche parole deve gestire i soldi.

Combatte per mesi in quella campagna vittoriosa, tanto sbandierata sui vecchi sussidiari di scuola, poi nel 1861 in prossimità dell’ufficializzazione del neonato Regno d’Italia qualcuno muove accuse alla gestione dell’impresa, si accusa l’Intendenza di cattiva gestione.

È La Farina l’uomo inviato in Sicilia da Cavour che tenta di gettare fango su Garibaldi e l’impresa, tutto per paura che Garibaldi non lasci le terre conquistate al Piemonte.  

Ippolito reagisce alle accuse compilando un accurato resoconto delle spese sostenute in guerra, si prepara a partire per Torino dove vuole fare chiarezza, ha appuntamento con il suo diretto superiore Acerbi. Non mancano le difficiltà per lo scrittore-amministratore, sono sessantamila i cappotti acquistati per i garibaldini e mai indossati (verranno rivenduti a basso prezzo dagli stessi garibaldini), nell’esercito improvvisato si contano un numero sporpositato di ufficiali e di promozioni.

C’è da gestire la cifra requisita al Banco di Sicilia, circa 21 milioni di lire dell’epoca, una cifra alta ma non enorme come viene raccontato.

Il 4 marzo del 1861 Nievo e le sue carte si imbarcano da Palermo per Napoli sul vapore Ercole insiema  ad altre ottanta persone, la notte tra il 4 e il 5 marzo il vascello naufraga senza alcun superstite. Ippolito Nievo uno dei migliori scrittori del suo tempo muore in quella notte di burrasca.

Fin qui sembra una delle tante tragedie di guerra e mare, ma come dice Shakespeare “c’è del marcio in Danimarca”, qualcosa non torna.

Nel 2010 è uscito un libro sulla morte di Nievo, ne è autore Cesaremaria Glori, il titolo è La tragica morte di Ippolito Nievo. Il naufragio doloso del piroscafo Ercole ed. Solfanelli, come reso già nel titolo Glori vede in quel naufragio un fatto doloso, cioè la volontà di far tacere una voce, quindi un atto politico.

Una trentina di anni prima nel 1974 Stanislao Nievo, pronipote di Ippolito, aveva scritto Il Prato in fondo al mare, dove rievoca la figura dell’avo e ricostruisce l’avventura del tentativo di riportare alla luce la verità sul naufragio del battello; racconta, allo stesso tempo, la spedizione che tentò cento anni dopo, nel 1961, di recupare parte del vapore adagiato sul fondo marino. È una morte che non ha cessato di interessare la letteratura.

Il libro di Glori racconta della morte di Nievo e della spedizione dei Mille. Veniamo così a sapere del ruolo della Massoneria nell’impresa dei mille, in particolare della massoneria Inglese che vedeva di buon occhio il ridimensionamento del papato e dei borboni del Regno delle due Sicile. Veniamo a sapere che una  somma di denaro pari a diecimila piastre turche (secondo Fausta Samaritani, diecimila piastre servivano al massimo per coprire le spese dei Mille per un paio di giorni) è stata consegnata durante lo scalo a Talomone dei due piroscafi che trasportavano i mille verso la Sicilia, Ippolito Nievo in qualità di intendente doveva amministrare e vigilare su questa somma di denaro, letteralmente ci dormiva sopra. La somma messa a disposizione da donatori stranieri, tra cui le loggie massoniche europee, doveva servire a pagare le necessità dell’esercito ma anche per permettere di ‘ammorbidire’ la difesa dell’esercito borbonico, ma la cifra come abbiamo visto non era poi così importante.