Introduzione

Dolcetto o scherzetto per Sherlock Holmes.

Partiamo dalla fine: l’inserimento di un breve apocrifo “d’appendice” non risponde solo a motivazioni strutturali (il romanzo di J. Andrew Taylor è relativamente breve) ma ha due significati importanti: in primo luogo, introduce nell’Olimpo della fan fiction d.o.c.g. d’oltre Manica e d’oltre Oceano un prodotto made in Italy (ammettiamolo: il nostro Paese vanta una già solida tradizione di apocrifi di qualità); in secondo luogo, rende omaggio alla consuetudine dei “romanzi d’appendice” che uscivano a puntate su quotidiani o riviste tra fine 800 e inizi 900. I tempi, appunto, di Sherlock Holmes. Anche in Italia, sia il Canone sia i primi apocrifi si ricollegano a questo genere letterario (chiamato in francese feuilleton). Il racconto di Gianfranco Sherwood interpreta con accuratezza l’atmosfera doyleana, e anche a livello tematico è molto affine al romanzo che lo precede. Infatti entrambi i testi alludono a possibili entità demoniache, spiriti e simili, che sfidano la logica razionalità di Holmes su un terreno che non gli è del tutto congeniale ma sul quale mostra comunque di sapersela cavare egregiamente.

Senza anticipare la trama e per non rovinare la sorpresa – che è, oltre tutto, dichiarata fin nel titolo – mi limiterò a sottolineare la quantità di indizi relativi non tanto alla soluzione del caso, quanto, acutamente, al canone holmesiano e alla società e cultura britannica. Ritroviamo infatti luoghi ben noti – Whitechapel, Bloomsbury, il London College, la campagna – nonché feste tipiche – la notte di Halloween e quella di Guy Fawkes – che oltre a renderci l’atmosfera del cronotopo vittoriano ci proiettano nel mondo narrativo di Conan Doyle regalandoci cani che assomigliano al Mastino, bambine che giurano di vedere le fate, galeotti che evadono dal supercarcere (l’intertestualità palese non ha bisogno di decriptazioni), e un imperturbabile Holmes che non si lascia spaventare da fantasmi taglia-teste, che resta diffidente davanti al progetto di estrarre oro dall’acqua del mare, e che dimostra di aver studiato bene la chimica.

Non manca, com’è giusto che sia, qualche elemento di originalità: fra questi, un Saggio sugli Ossidi che va ad aggiungersi al corpus delle pubblicazioni possibili a firma di Sherlock Holmes, e una propensione ben maggiore di quanto ricordiamo, da parte del nostro investigatore, a bere birra. Un cedimento al vizio che gli perdoniamo, trattandosi di una storia ambientata per lo più all’aperto, d’inverno e in compagnia – oltre all’immancabile Watson – di rudi e simpatici osti e boscaioli.

                                                                        Alessandra Calanchi

Sherlock Holmes e l’elemento sorpresa

{Fedele ristampa di un manoscritto trovato in una raccolta di documenti che fu lasciata a tale James S. Watson, pro–pro–pronipote di JOHN HAMISH (JAMES) WATSON M.D., con le cui mani è stato composto l’originale}

Capitolo 1

Dalla risoluzione del caso della “Lega dei capelli rossi”, avvenuta il mese precedente, ero stato particolarmente impegnato a causa di alcune questioni familiari e dal mio ambulatorio privato da poco avviato; di conseguenza, avevo visto pochissimo il mio amico e coinquilino di un tempo, Sherlock Holmes. In realtà, avevo creduto che i nostri sporadici incontri fossero causati unicamente dai miei impegni. In seguito, però, seppi da Holmes in persona che, anche se avessi avuto il tempo e l’occasione di fare un salto da lui, probabilmente non lo avrei trovato al nostro vecchio alloggio in Baker Street, poiché raramente dimorava là.

Come grande amico e fedele compagno di avventure di Sherlock Holmes, per quasi nove anni, mi ero ormai abituato alle sue sparizioni senza preavviso, così come ad attendere le ragioni delle stesse a fatti avvenuti.

Una circostanza simile si verificò il 2 novembre 1890. Quella mattina ricevetti una chiamata urgente da uno dei miei pazienti che abitava molto vicino a Baker Street.

Non si trattò di un caso complesso e quindi, verso metà mattina, mi ritrovai a due passi dal 221b. La giornata era particolarmente mite e non avevo alcun impegno annotato sulla mia agenda, così avvertii il desiderio improvviso di andare a trovare il mio amico. Feci una leggera deviazione e raggiunsi il mio vecchio appartamento.

Stavo per suonare il campanello di Mrs Hudson quando la porta si spalancò all’improvviso e fui letteralmente investito da qualcuno che mi si scaraventò addosso e che, per poco, non mi fece cadere dai gradini.

– Ma dico io! Che diamine sta succedendo? – domandai brusco, mentre cercavo di ritrovare l’equilibrio.

Un volto familiare mi stava guardando esterrefatto e imbarazzato da sotto una massa di capelli arruffati e scompigliati.

– Dottore, la prego di perdonarmi. Non mi aspettavo... – disse l’ispettore Lestrade mortificato, tenendosi una spalla dolorante.

Ritrovato il mio contegno, e comunque più curioso che arrabbiato, gli feci un sorriso forzato e con un cenno del capo gli mostrai la mia clemenza.

– Nemmeno io mi aspettavo di vederla, Ispettore. Ero passato a trovare Holmes. Immagino sia in casa...

– Nemmeno per sogno, accidenti a lui! – disse Lestrade quasi urlando, mentre lanciava un’occhiataccia verso la finestra della sala. – Sono due settimane che cerco di contattarlo. Neanche Mrs Hudson ha idea di dove sia, o, chissà, forse lo sta coprendo. A ogni modo, non so quando ritornerà.

Mi guardò dritto negli occhi e mi chiese: – Lei sa, per caso, dove posso trovarlo?

– Ispettore, – risposi, fingendomi quasi infastidito – il fatto che sia qui anch’io e che le abbia chiesto se Holmes sia in casa dovrebbe suggerirle che ne so esattamente quanto lei.

Con mio estremo stupore credo di aver visto quell’uomo, per la prima volta, abbassare la cresta. Fece un profondo sospiro e rimase lì a strofinarsi il mento, sul quale era cresciuta una insolita barba di almeno un paio di giorni. – Devo scusarmi di nuovo, Dottore, ma ultimamente non sto dormendo affatto bene. In queste ultime settimane non mi sento per niente in forma.

– Potrei prescriverle qualcosa che l’aiuti a riposare – gli proposi.

– No, la ringrazio lo stesso, ma devo essere lucido. Non voglio che il mio lavoro venga ostacolato dai sonniferi.

– Capisco, Ispettore. Lasci almeno che le prescriva un bicchiere di brandy dall’armadietto dei liquori di Holmes. Sono sicuro che non avrebbe nulla in contrario.

Lestrade stava per rifiutare, ma bloccai il suo diniego alzando la mano e dicendogli: – Ordini del medico.

Ci rise su e suonò ancora il campanello del 221b. Mrs Hudson aprì la porta e, prima di accorgersi della mia presenza, disse a Lestrade: – Ispettore, le ho già detto che... Oh! Salve Dottore. Non sapevo che lui fosse con lei.

– Non c’è problema, Mrs Hudson. Ero passato a trovare Holmes e all’ingresso mi sono imbattuto nell’Ispettore.

Lestrade, divertito dalla situazione, sorrise tra sé.

– Come gli ho già detto, Mister Holmes non c’è. È fuori casa da quindici giorni; è partito prima del giorno di Ognissanti.

– Capisco, Mrs Hudson. Sa, oggi ho camminato un bel po’ e la mia vecchia ferita incomincia a farsi sentire – a quel punto presi a massaggiarmi la gamba per suscitare compassione.  – Credete che a Holmes dispiacerebbe se il suo vecchio coinquilino si riposasse qualche minuto nel suo salotto?

Un ampio sorriso illuminò la sua tonda faccia scozzese. – Dottore, sapete bene quanto me che per Mister Holmes quest’appartamento è anche vostro – Così dicendo aprì la porta e si fece da parte per farci entrare. – Prego, accomodatevi. Immagino conosciate già la strada. Accendete pure il fuoco, mentre io vi porto del tè. – Ci lasciò soli canticchiando tra sé; forse era felice di avere qualcuno di cui prendersi cura al posto di Holmes.

Mi misi subito all’opera. Per riuscire a prendere il carbone dovetti spostare i mozziconi di sigari che Holmes aveva lasciato nel secchio e impilai alcuni pezzi di legna nel camino. Li accesi e mi misi subito a sedere di fronte al fuoco caldo e accogliente di quell’ambiente domestico e familiare che era il 221b di Baker Street. 

Mrs Hudson entrò con il tè e lo servì. Bevemmo in relativo silenzio, finché non mi accorsi che Lestrade stava fissando le bottiglie degli alcolici di Holmes.

Dopo essermi riempito la pipa con il tabacco contenuto nella pantofola persiana di Holmes e aver fumato in silenzio per un po’, mi alzai e mi diressi verso l’armadietto dei liquori. – Del brandy, Ispettore?

– Un bicchiere di gin, se c’è, grazie – rispose un po’ troppo d’impeto.

Versai del brandy per me e del gin per Lestrade e tornai verso il caminetto.

Nel porgergli il bicchiere, gli dissi: – Beva un bel sorso e mi dica cosa la mette in uno stato d’agitazione tale da aver così disperatamente bisogno di Holmes.

– Dottore, non mi fraintenda, – disse, recuperando un po’ del suo usuale orgoglio – ma mi sono appena imbattuto in un caso che Holmes, in veste di Consulting Detective, potrebbe trovare utile per  migliorare il suo addestramento.

Soffocai una risata tossendo, dando la colpa al fatto che il tabacco di Holmes era vecchio.

– Visto che Holmes, – proseguì l’ispettore con uno sguardo diffidente verso di me – si trova felicemente sulla strada della notorietà col suo passatempo, potrebbe essere di una qualche utilità alla polizia. Adesso più che mai.

A quel punto si chiuse in sé e scolò il gin tutto in un sorso.

– Cosa intende con “adesso più che mai”? – domandai.

– Dottore, se ben ricorda, – rispose alzandosi e prendendosi la libertà di versarsi da solo un secondo bicchiere – il corpo di polizia della città conta circa tredicimila uomini e la Corona ci sta spostando da Whitehall Place al nostro nuovo quartier generale, vicino alla torre dell’orologio a Westminster.

– Ah sì, naturalmente... Me n’ero scordato.

– Lei potrà anche essersene dimenticato, Dottore, ma le assicuro che ogni delinquente, ogni borseggiatore di Fleet Street e ogni ladro di Londra se lo ricorda molto bene. Sembra che queste persone stiano approfittando dell’inevitabile e prevedibile caos in cui si trova al momento Scotland Yard, stato che perdurerà fino al completamento del nostro trasferimento nella nuova sede, che dovrebbe avvenire entro la fine del mese.

Lestrade si stava agitando di nuovo. Deglutì la sorsata di gin e lanciò un’occhiata alla porta.

– Dove sarà quell’uomo? Avrei dovuto emettere un mandato di comparizione su di lui e farlo portare in centrale.

Ridacchiai e alzai il bicchiere di brandy verso di lui in segno di brindisi, nel tentativo di calmarlo un po’.

– Comunque, – risposi – sono convinto che, se Holmes si è dovuto nascondere, né l’intera Scotland Yard né il sottoscritto potranno mai scoprire dove possa trovarsi. – (apprezzai questa mia deduzione solo quasi quattro anni più tardi).

Lestrade capì l’assurdità della sua dichiarazione e cedette: – Naturalmente, Dottore, ha ragione. Ringrazio il cielo che il nostro amico stia dalla nostra parte.

– E di tutta Londra... e anche della maggior parte del Paese – aggiunsi.

Scoprendomi estremamente interessato ad avere notizie su questo caso, ma essendo ancora in apprensione per il fatto di discuterne senza Holmes presente, repressi la mia curiosità e spostai il discorso verso questioni più banali.

La nostra conversazione proseguì per mezz’ora, dopodiché ci salutammo e ognuno andò per la propria strada. Io verso casa mia e Lestrade, presumo, in direzione di Whitehall.

Quando uscii in Baker Street volsi lo sguardo verso la finestra della stanza oramai rimasta al buio e pensai ad alta voce: –  Holmes, dove si è cacciato?

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