Nel romanzo di Arthur Conan Doyle “Uno studio in rosso” (“A study in Scarlet”, Beeton’s Christmas Annual, Ward, Lock & Co., 1887) Skerlock Holmes spiega al dottor Watson, che già da un pezzo si andava chiedendo se l’uomo con cui condivide l’alloggio di Baker Street 221/b abbia un’occupazione e quale sia, di essere un detective consulente. La professione di poliziotto privato era stata introdotta negli Stati Uniti dallo scozzeze Allan Pinkerton, che nel 1850 aveva creato un’agenzia di sicurezza, la Pinkerton Agency, appunto.

I detective di allora lavoravano però alle dipendenze dell’agenzia, mentre Holmes è un investigatore indipendente. Inoltre, egli è anche un consulente, il che vuol dire che può lavorare anche per conto della polizia. In effetti, è proprio quel che succede nel romanzo citato, perché la sua collaborazione viene richiesta dall’ispettore Tobias Gregson, che si sta occupando di un caso insieme al suo collega Lestrade.

Sherlock Holmes guarda la fotografia di Irene Adler (illustrazione di Sydney Paget per “Uno scandalo in Boemia”)
Sherlock Holmes guarda la fotografia di Irene Adler (illustrazione di Sydney Paget per “Uno scandalo in Boemia”)

Dato che questo è il lavoro di Holmes, è lecito aspettarsi che la polizia lo ricompensi, così come gli altri suoi clienti. La sua tariffa, tuttavia, non è citata esplicitamente, e in genere Watson non fa riferimento alla questione del pagamento. Vi accenna lo stesso Holmes nel racconto “Il problema di Thor Bridge” (“The Problem of Thor Bridge”, The Strand Magazine, febbraio-marzo, 1922) quando dice al suo cliente, il milionario americano Neil Gibson, che le sue tariffe sono fisse e che talora non si fa neanche pagare.

Questo è vero in generale, ma in realtà Holmes, che in effetti è attirato soprattutto dall’interesse che il problema presenta per lui, adatta le sue richieste di denaro al cliente, nel senso che è disposto a lavorare anche gratuitamente (soprattutto se il cliente non è danaroso) ma, se un cliente non gli è simpatico, può accadere che sia tentato di rifiutarlo o di chiedergli una grossa somma, magari nella speranza che sia il cliente a rinunciare (il che ovviamente non funziona con i clienti ricchi).

Nel caso di Gibson, Holmes rimarca il suo disinteresse per il denaro perché il milionario, fin da subito, cerca di convincerlo ad accettare il caso, asserendo che i soldi non sono un problema e ostentando una certa boria da riccone. Dato il carattere di Holmes, è del tutto ovvio che replichi dichiarando a sua volta che i soldi non sono un problema nemmeno per lui.

Non si tratta di una bugia, beninteso, perché Holmes è molto noto (grazie ai resoconti di Watson) e ha lavorato per diversi governi e alcune teste coronate. Tuttavia non è stato sempre così. Proprio nel citato romanzo “Uno studio in rosso”, apprendiamo che l’incontro tra lui e Watson nasce dalla sua esigenza di avere un coinquilino con cui condividere le spese dell’affitto. Holmes, insomma, pur non avendo un problema di soldi, non naviga certo nell’oro, il che vale anche per il dottor Watson, che è un reduce con una piccola pensione (undici scellini e sei pence al giorno)

In questo periodo della sua vita, Holmes deve insomma arrangiarsi in qualche modo. Ove avesse un problema urgente, potrebbe ovviamente ricorrere al fratello Mycroft, ma non è tipo da chiedere aiuto, nemmeno a un familiare. Con il tempo, però, la situazione è destinata a cambiare. Inoltre, in alcune circostanze, Holmes riesce a incassare delle cifre consistenti, che spiegano la sua disinvolta noncuranza nel prendere carrozze, pagare mance ai testimoni, o concedersi un serata in teatro, o una cena in un ristorante sullo Strand.

Risulta anche abbastanza evidente che, mentre  va in giro con Watson, sia lui a pagare, dato che lo considera il suo aiutante e lo presenta come tale, anzi addirittura come socio. Questa circostanza ci fa supporre una cosa meno ovvia, ma del tutto ragionevole, cioè che Holmes passi a Watson una parte dei suoi guadagni, non perché il dottore lo pretenda, ma perché conosce la sua situazione finanziaria.

A proposito dei (pochi, in verità) casi in cui veniamo a conoscenza di cifre piuttosto alte incassate da Holmes, possiamo citare l’anticipo di 1.000 sterline ricevuto dal granduca nel racconto “Uno scandalo in Boemia” (“A Scandal in Boemia”, The Strand Magazine, giugno 1891). In chiusura, il detective potrebbe chiedere altri soldi, ma si accontenta della fotografia di Irene Adler in abito da sera (chi può dubitare che a Holmes, malgrado l’ostentata indifferenza, piacciano le donne?). In compenso, il duca gli farà avere un astuccio d’oro.

Nel racconto “La corona di berilli” (“The Beryl Coronet”, The Strand Magazine, maggio 1892) Holmes guadagna un onorario di 4.000 sterline. Nel racconto “La scuola del priorato” (“The Priory School”, The Strand Magazine, febbraio 1904) il ricavato è un assegno di ben 12.000 sterline. Holmers dice al cliente di essere un uomo povero, ma quella cifra lo ha appena trasformato in un uomo molto meno povero. Infine, nel racconto “Il carbonchio azzurro” (“The Blue Carbuncle”, The Strand Magazine, gennaio 1892) Holmes potrà verosimilmente incassare le 1.000 sterline promesse dalla contessa di Morcar per la restituzione della pietra preziosa cui si riferisce il titolo.