Se avevano covato dei sospetti, quello era il momento per farla finita; ma con un senso di sollievo si trovò dall’altra parte della porta senza che nessun proiettile gli avesse spaccato il cuore. 

 

La donna con il walkman era rimasta sola. Lo Chagalle L.A. Café si era riempito di avventori attenti più a quello che si nascondeva nel fondo dei bic­chieri che all’effetto del whisky sui loro cervelli imbambolati.

Hoffgauer si avvicinò al bancone e sedette sullo sgabello accanto alla puttana. Da quella distanza riusciva a scorgere nettamente i bordi della cicatrice rialzati e schiumosi, più chiari della pelle bruna del viso e duri come due righe paral­lele di cartilagine che erano affiorate in superficie.

La donna non era bella. Non poteva esserlo con quel segno che le tagliava in due

la faccia. Eppure sorrideva mostrando le lunghe gambe sottili e muovendo i fianchi sullo sgabello al ritmo della musica che assorbiva attraverso gli aurico­lari. Le caviglie erano snelle come quelle di una gazzella.

Hoffgauer ordinò due whisky. Uno per sé e uno per

la donna. Bevve lenta­mente ignorando i grugniti e le proteste di un uomo che si allungava sopra il bancone cercando di richiamare l’attenzione del barman.

— Cosa stai ascoltando? — chiese indicando con il bicchiere il Sony porta­tile.

La donna si girò a guardarlo con gli occhi slavati come brodaglia. Non c’era più traccia di tristezza e solitudine, soltanto una vaga consapevolezza di sé che ancora la faceva stare dritta sullo sgabello.

Non rispose a Hoffgauer. Si limitò a sollevare la scatola della musica e a mostrarla con un sorriso che per metà era una smorfia.

Hoffgauer annuì e si alzò lasciando una banconota sul banco. Quando fu fuori si accorse che il mostro acquattato in Pico Boulevard era più dinamico e riottoso di quanto non lo fosse stato qualche ora prima. Sobbalzava e si stirava prepo­tentemente lanciando il suo grido stridulo nell’aria, pronto a gettarsi in collu­sione con altre creature della sua specie allungate sulle strade della città.

Los Angeles era un mostro che aveva partorito altri mostri, e Hoffgauer si sentì felice al pensiero che tra poco sarebbe stato a bordo di un aereo diretto verso Leverkusen.

Quando l’esplosione alle sue spalle squassò lo Chagalle L.A. Café sommer­gendo Pico Boulevard sotto una valanga di macerie, Hoffgauer era già salito sul retro di un taxi in Hope Street.

Lei aveva aspettato abbastanza prima di schiacciare il tasto della scatola della musica. Quel tanto che bastava per consentire a Hoffgauer di portarsi al sicuro, nel caso non avesse capito per quale motivo si agitava sullo sgabello al ritmo di una musica che non c’era.

Quando la donna gli aveva fatto vedere il walkman lui si era accorto che il registratore era spento. E certo adesso non rimpiangeva la fine che avevano fatto La Cocca e i suoi sgherri. L’affare era concluso, e una sola punta di ram­marico era rimasta a guastargli la soddisfazione della giornata.

Avrebbe voluto provare a salire al piano di sopra con

la puttana. Non era bella, ma i suoi occhi avevano la profondità acquosa di un tormento che in qualche modo si accomunava al suo. E forse per qualche minuto avrebbero potuto provare ad annegare insieme, prima che la scatola della musica intonasse la sua canzone.