“Dutturi buongiorno! Un minuto solo, Salvo.”

Il titolare del bar sospese la partita a dama con l’amico per raggiungere il bancone.

“La servo io, u picciotto è ghiuto a fari na cunsigna. Che ci do, un’iris?”

L’uomo era anziano ma emanava un’aura di energia. Usava un bastone da passeggio, di legno intarsiato, con un pomo argenteo. Era vestito elegantemente, un abito azzurro chiaro, camicia blu, panciotto e cravatta, un abbigliamento pesante per la promessa d’estate di quella giornata d’inizio maggio. Non sembrava avvertire il caldo, comunque, il viso fresco e rasato. Spostò lo sguardo dalla scacchiera al barista. Gli occhi erano chiarissimi, d’un colore indefinibile.

“Gioca anche a scacchi, sig. Michele?”

Sorpreso dallo sguardo, da una inspiegabile sensazione di gravità, il barista sussultò leggermente prima di ritrovare la sua verve.

“A scacchi? Ma quannu mai! Sacciu sulo i mosse. E pure a dama… Ave na vita che u mio amico Salvo mi mazzulia!”

“Una vita?” Qualcosa sembrò restare nell’aria per un istante, prima si svanire.

“No, niente iris oggi. Due arancini e due rizzuole, me le mette in un vassoietto magari.”

“Subito! Sunnu cavure cavure, di rue minuti fa, troppo buone! Non è per dire, ma prepara tutto me mugghiere!”

“Lo so” rispose l’uomo l’anziano.

 

“Mii che cristianu!” Disse Salvo “Ma cu è?”

“Ci credi, mancu sacciu como si chiama. Ave una siimana che tutte i matine passa, s’accatta un’iris e sinni scinne verso

la Villa Giulia.”

“Oggi ‘un s’accattao n’iris.”

“No, oggi no. Ma picchì, sintisti come parla? Ié como si avisse un accento straniero, ma ‘un l’ave… Niente i male, pi carità, ma ti runa na senzazione mistiriusa… Maah, finemo i ghiucare và. Tucca a mia?”

 

La via Lincoln scendeva verso il porto e il mare era visibile da lontano. L’uomo anziano oltrepassò l’ingresso della Villa Giulia e girò a sinistra, lungo il Foro Italico. Al di qua della strada che fiancheggiava il mare vi era un ampio spazio all’aria aperta, disseminato di tavolini. L’antica e grande gelateria sembrava incastonata nel paesaggio, come se fosse lì da sempre. Ad uno dei tavolini, ombreggiato da un grande albero, sedeva un giovane, biondo, magro. Indossava pantaloni e gilet, neri, con la camicia bianca aperta e le maniche risvoltate. Gli occhi, d’un azzurro intenso, fissavano una scacchiera. Alcuni pezzi stavano di lato, accanto ad un orologio con due quadranti. L’uomo anziano accennò un lieve sorriso mentre si avvicinava. Posò il sacchetto sul tavolino, lanciando un’occhiata alla posizione sulla scacchiera.

“Anand – Topalov, a Sofia, lo scorso anno…” disse.

“Anand ha un magnifico talento ma, come dire, mai del tutto disciplinato” rispose il giovane.

“Buongiorno signor Brad” salutò l’uomo anziano mentre si sedeva “Mi aspettavo di incontrarla oggi”.

Il giovane fece un cenno con il capo. Si accigliò, fissandolo. “Signor Pitti… Mi aspettava?”

“Diciamo così. Mi sono permesso di prendere qualcosa anche per lei.” Scartò il vassoietto, disponendo accanto i tovagliolini.

L’espressione del giovane era indecifrabile. “Lei non manca di sorprese.”

“Perché no, quando posso. Si aggiunge un po’ di colore alle cose.” L’uomo anziano aprì una bustina di zucchero, che versò su un angolo del vassoio. “Alcuni palermitani intingono l’arancino su un po’ di zucchero, provi, se vuole… Aah, squisito!”

“Davvero buono” confermò il giovane “Anche se forse lo preferisco senza zucchero.”

 

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Il sorriso non dava adito a dubbi: era felice, come solo la gioventù, a volte, sa consentire. Aveva superato il suo primo esame a Cambridge! Non vedeva l’ora di dirlo a Violet, la sua bellissima Violet.

Incrociò lo sguardo di un passante e il mondo parve implodere, comprimersi, svanire nel buio. Un freddo intenso s’impadronì del suo corpo e comprese che stava morendo. La sua mente si tese ad afferrare quanto poteva, ricordi e pensieri come minuscole ancore alla vita. La carezza di sua madre prima di addormentarsi, l’affetto distante di suo padre, le partite a pallone sul marciapiede, Violet, tanto amata, eppure, sentì in quell’istante, non ancora l’amore, il prof. Rutherford, appena conosciuto, con il quale sperava di lavorare lì a Cambridge, gli scacchi, da sempre compagni di viaggio, e il suo primo torneo internazionale, la settimana successiva…

Una voce profonda risuonò nella sua mente “Gli scacchi! Gli affetti, l’amore, i misteri dell’atomo, ma, infine, gli scacchi! Ha appena ottenuto qualcosa d’inimmaginabile, giovane uomo… Una dilazione. Tornerò, e non dimentichi perché oggi, e ancora un poco, vivrà.”

La vista gli si schiarì. Era caduto a terra. Il passante era lì e restò a guardarlo ancora per un attimo, prima di girarsi e andar via.

 

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Avevano finito di mangiare in silenzio e ora i pezzi erano tornati sulle case di partenza. Il signor Brad prese l’orologio. “Novanta minuti più un minuto per mossa?”