L'anziano e facoltoso Richard Abernethie, patriarca d'una numerosa famiglia non troppo in buone acque, muore all'improvviso per quello che il medico curante non esita a diagnosticare come un infarto. Inaspettato, visto che Abernethie era nel complesso in buona salute, ma non del tutto inspiegabile: all'uomo era morto da poco il figlio primogenito, unico superstite di un'ecatombe che, complice la guerra (che ha ucciso l'altro figlio di Richard Gordon), gli aveva già sottratto moglie, sorelle e fratello.

In vita restano ancora solo un altro fratello, l'ipocondriaco e stizzoso Timothy, con la sua materna consorte Maude; un'eccentrica sorella, Cora Lansquenet, “che ha sposato un artista veramente antipatico” conducendo con lui un'esistenza bohémien che le ha alienato per anni le simpatie del resto della famiglia; una stimata e affettuosa cognata, la vedova Helen, e un crocchio di nipoti più o meno felicemente sposati e tutti alquanto assorti nelle rispettive esistenze: la volitiva Susan, moglie dell'incolore Gregory commesso di farmacia, la bella Rosamund, sposata all'ammaliante attor giovane Michael e attrice lei stessa, e l'ambiguo George dai traffici dubbi.

Tutti sono stati invitati a casa dello zio poco prima che questi morisse: e tutti, in un modo o nell'altro, lo hanno deluso…

Un panorama d'affetti progressivamente desertificato, dunque, quello del vecchio Abernethie, il cui peso può aver contribuito ad affrettare la morte d'un uomo ancor vitale nel fisico e però profondamente provato nello spirito. Un evento triste ma non certo inquietante, quindi, quest'improvvisa scomparsa: ma, siccome – durante la riunione di famiglia nella magione avita in cui l'anziano avvocato amico del defunto ha dato lettura del testamento – l'ingenua Cora ha spensieratamente insinuato che la morte del fratello non sia stata frutto del caso (“Diamine, è stato ucciso, no?”), ora è la sua brutale dipartita a far nascere dubbi: in special modo proprio nell'avvocato Entwhistle, che non a caso sarà il primo a recarsi a casa della vittima per cercar di dissipare i sospetti alimentati dall'infelice battuta pronunciata da questa la sera prima. Colpita alla testa con un'accetta, la Lansquenet viene infatti trovata morta nel suo letto il giorno dopo il funerale di Abernethie dall'atterrita dama di compagnia, la signorina Gilchrist.

La sua stanza è stata messa a soqquadro, probabilmente per simulare una rapina, poco credibile tuttavia vista l'assenza di oggetti di valore a parte gli imbarazzanti dipinti del defunto marito Pierre e le decine di croste che l'attempata signora, appassionata d'arte e pittrice dilettante lei stessa, si divertiva a acquistare nei mercatini dell'antiquariato e alle aste di paese. A raccontarlo con rimpianto a un perplesso Entwhistle sarà la stessa Gilchrist, che  prima di far da governante a Cora è stata allieva del padre pittore e di quadri qualcosa ne sa pure lei (oltre ad aver gestito con orgoglio un amatissimo negozietto di pasticceria, prima che il dissesto economico legato alla guerra la costringesse allo scomodo ruolo di tuttofare): “Oggigiorno i quadri non costano niente, non ha mai speso più di una sterlina, e poi diceva che c'era sempre la possibilità di mettere le mani su qualcosa di valore. Questo, per esempio, secondo lei era un quadro italiano che avrebbe potuto costare parecchio…”.

Dopo un giro di visite agli apparentemente addolorati ma nell'intimo esultanti congiunti, cui l'ingente eredità di Abernethie consentirà adesso di mettere in atto progetti a lungo rimandati per mancanza di liquidi – Susan vuole aprire un istituto di bellezza, Rosamund finanziare uno spettacolo del suo adorato Michael, George coprire un ammanco dovuto al denaro che ha indebitamente sottratto, Timothy rimettere in sesto casa e giardino, Helen viaggiare… -, sarà appunto l'avvocato Entwhistle a rivolgersi all'amico Hercule Poirot per tentar di scoprire chi abbia ucciso Cora e perché, cercando poi di far lo stesso con la Gilchrist.

Quest'ultima, infatti, viene salvata per un soffio da un tentativo d'avvelenamento grazie al tempestivo intervento di Susan, ospite della dama di compagnia – la quale, sostenendo che la cosa non le fa impressione, vive ancora nel villino dove la Lansquenet è stata massacrata a colpi d'accetta – per l'inventario di mobili e suppellettili lasciatile dalla defunta. La giovane ha fatto anche lei un matrimonio contrastato in famiglia, scegliendo un farmacista dal carattere instabile, e forse per questo la zia Cora le ha destinato per testamento tutto quello che aveva. Non molto, in verità: qualche armadio antiquato e un po' di quadri di scarso valore.

Chi è stato, dunque, a uccidere a colpi d'accetta la povera signora e poi a cercar d'avvelenare la rispettabile dama di compagnia? E perché?

La Christie scrive Dopo le esequie nel '53. L'anno prima aveva dato alle stampe Fermate il boia, anch'esso basato su un complesso intreccio di legami familiari e d'interesse culminante nell'omicidio, sempre con Poirot come protagonista, e l'anno dopo scriverà il meraviglioso Poirot si annoia, in cui l'ambientazione si sposta invece all'interno d'un pensionato studentesco che sotto una ben applicata vernice di rispettabilità nasconde ben altre attività: anche qui a dipanare l'intricata matassa sarà il piccolo investigatore belga, programmaticamente citato nel titolo.

Nel giallo di mezzo invece il tema è la famiglia, una delle molte famiglie disfunzionali e potenzialmente criminose della Christie, col costante controcanto d'un altro classico motif dell'autrice, quello, compiuto in sé stesso e in sé stesso autonomo, dei mariti e delle mogli, ovvero del matrimonio.

Susan ha fatto un cattivo matrimonio (ma oggigiorno le ragazze sposano chiunque! nell'accorata chiosa di Lanscombe, il vecchio maggiordomo sopravvissuto a tre generazioni di Abernethie); nell'opinione generale Cora ha avuto un cattivo marito (che però sembra averla resa felice); il marito di Rosamund è uno che si lascia amare; la Gilchrist si commuove scartando la fetta di torta di nozze che le hanno inviato per posta e di cui inghiottirà solo un pezzetto, nascondendo il resto sotto il cuscino in omaggio a una superstizione da zitella che le salverà la vita; Maud è insieme moglie e madre di Timothy, che con lei si comporta pur sempre da fanciullo bizzoso; George è uno scapolo senza legami dal fascino ambiguo; Gregory vive l'appassionata devozione di Susan come una prigione; Helen è vedova e, pur potendo disporre d'un corpo ancora snello, lineamenti precisi e occhi che conservavano il color azzurro fiordaliso di una volta (ancora nell'affettuoso ricordo del vecchio Lanscombe, discreto ancorché miope ritrattista di questo gruppo di famiglia come già il fedele Tressilian ne Il Natale di Poirot), non si è mai risposata: chissà perché

Tutti senza figli – con la rapida sorpresa finale di Rosamund, che scoprirà d'aspettare un bambino, e della misteriosa Helen… – e tutti quindi assorti e fissati nel complesso passo doppio del mariage:  “Le mariage, prima di tutto” ricorderà un benevolo papà Poirot a Judith, la recalcitrante figlia minore dell'amico Hastings, in Sipario.

In questi particolari ménage sono dunque i progetti, i sogni più o meno condivisi, che sostituiscono la prole di là da venire e incassano l'abnegazione inesausta della coppia o almeno della sua metà più accudente: con l'egoistica fissazione dell'invalido Timothy per l'immensa e stancante casa di famiglia che Maude puntualmente asseconda e supporta (quelle corse su e giù per le scale!) come ogni altro capriccio del marito-bambino, e la parte meravigliosa per Michael nello spettacolo che Rosamund intende mettere in scena; con l'istituto di bellezza di Susan dove il nervoso, insicuro Greg potrà infine starsene nell'ombra, pasticciando quietamente nel suo laboratorio come, ancora una volta, un bimbo adorato nella stanza dei giochi…

Persino la sbiadita signorina Gilchrist rimpiange appassionatamente il negozietto di pasticceria messo su prima della guerra al pari d'un figlio amato e perduto. Attenzione, però, perché durante la sua visita al villino della defunta la governante confiderà a Susan (che la esorta a portarsi pur via tutti i mobili di Cora che le piacciano) di avere anche lei “dei mobili miei, tutte le mie cosette…” al sicuro in un magazzino, in attesa di utilizzarle. Ancora un'esistenza sospesa quindi, un sipario in attesa d'aprirsi su una scena allestita da tempo, con gli oggetti disposti in bell'ordine e pronti a destarsi alla vita solo che qualcuno spezzi l'incantesimo soffiando via la polvere deposta dal tempo…

Il tempo, il tempo sfrontato, indiscreto, impietoso, altro nodo cruciale del romanzo christiano, il tempo che scorre senza che nessuno muoia al momento giusto o  modifichi d'un millimetro la propria mentalità: con Susan che, unica tra gli esponenti della generazione più giovane, sembrerebbe aver ereditato il fiuto per gli affari degli Abernethie ma, ahimè, è una donna, e mal sposata per giunta, e il vecchio Richard pur apprezzandola decide di non aiutarla; il tempo che scorre veloce, indifferente e cieco senza che mai neppure una volta si riesca a mettere infine le mani sui soldi, i benedetti soldi che consentirebbero di realizzare i propri sogni e quindi sé stessi; il tempo sprecato, dilapidato al seguito d'una donna faticosa, egoista come tutti i vecchi, che non ha idea di cosa significhi vivere e tuttavia è sempre in vita…

Solo la matura Maude consuma i suoi giorni con lo stizzoso, incontentabile Timothy ma ne è del tutto appagata avendo integralmente trasferito su di lui il proprio inscalfibile istinto materno: una volta per tutte, vien fatto di pensare, data l'età abbastanza avanzata di entrambi. Tutti gli altri son giovani, e per il momento s'intestano a voler rendere felici sé stessi e l'altro appagando le aspirazioni connaturate alla gioventù.

Con l'eccezione della Gilchrist, naturalmente: quest'anonima miss di mezz'età ha superato da un pezzo l'età delle illusioni. E però la sua esistenza parrebbe esser rimasta ferma agli anni del negozio, i felici anni di prima della guerra, cristallizzandone il paesaggio interiore in una sorta di patetica eterna giovinezza che ne condiziona i gesti e i modi, a tratti fin troppo bambineschi e tremuli. Significativi al riguardo l'episodio della torta di nozze nascosta sotto il cuscino (cosicché durante la notte possa apparire in sogno il volto del futuro sposo…) e, più tardi, l'insistita esibizione di spaurito sgomento a giorni e giorni di distanza dall'assassinio della Lansquenet.

Uno sgomento invincibile quanto immotivato, un'inspiegabile riluttanza a trascorrere anche un solo momento di più nel villino della defunta che costringerà Susan a trovare alla donna un'altra casa inserendola – proprio come quella desidera, del resto… – nel cuore della famiglia in lutto.

E con la parziale eccezione della stessa Susan, che nella sua ansiosa ricerca della felicità per sé stessa e per Gregory appare sostanzialmente incapace (proprio lei così abile e forte, così attenta e sicura) di rendersi ragione della radicale vocazione del marito alla solitudine, di quel suo silenzioso voler essere lasciato in pace per ritornare a poco a poco nell'ombra: ostinandosi a tener gli occhi disperatamente chiusi e attirandosi, infine, la paterna ramanzina di Poirot: “Voi gli volete dare tutto perché lo amate. Ma non si può dare alla gente ciò che non è capace di ricevere… E alla fine ci sarà qualcosa che Greg non vorrà… Essere il marito di Susan”.

Non a caso nel romanzo il personaggio di Maude è forse il solo – a parte il decrepito Lanscombe – che si muova con lentezza e venga definito solido: una torre, nella sintomatica scena della spartizione delle suppellettili di casa Abernethie, con l'aspro battibecco tra Timothy e il nipote a proposito del servizio da tè e lo scambio di cortesie in punta di coltello tra Susan e Rosamund circa il tavolino di malachite e il cruciale centrotavola di fiori di ceramica. Tutti gli altri si affannano nei modi più diversi, saltano in automobile, vanno fuori a pranzo, girellano per negozi, scommettono alle corse…

Tutti, chi più chi meno, in attesa della morte di qualcun altro: del vecchio Richard o dell'ingenua Cora, poco importa in fondo. In attesa della morte perché è questa che gli consentirà infine di cominciare a vivere: in questa spietata partita doppia il dare e l'avere non si incontrano mai.