Quella del medico-biografo di Sherlock Holmes è stata la prima «voce» ascoltata di una serie di personaggi letterari (e anche non) definiti «eroi sconosciuti»: coloro che sulla pagina o nella vita vivono di luce riflessa, destinati in sostanza ad essere veicolo delle maggiori glorie di un eroe «classico», che si piglia l’intera scena per sé. Maggiordomi inappuntabili, se ci si può passare l’accostamento, ma, proprio per questa inappuntabilità, destinati a passare in secondo piano quando non ad essere scordati completamente. «No, Holmes non era un buon compagno di vita», confessa Watson: «Lui alla luce della ribalta e io dietro le quinte, a scrivere per la sua gloria. E ancora sono qui, vede, a parlare di lui. E’ sempre stato così. Le avventure di Sherlock Holmes, stava scritto sul frontespizio dei libri: ché, anche se i pericoli li avevamo affrontati insieme, la fama era tutta sua». Watson prosegue con toni dolentemente risentiti, ripescando particolari della vita comune in Baker Street e presentando tutt’altro che affettuosamente le idiosincrasie di Holmes, e quelle eccentricità esteriori e comportamentali che lo hanno canonicamente caratterizzato: «Lui, il genio, a sfoggiare una parlantina brillante con quel suo particolarissimo scintillio negli occhi; io, il povero di spirito, alla buona, a sorseggiare paciosamente brandy e a prendere appunti sulle sue illuminazioni: così ci etichettò la gente. Colpa mia, che nelle memorie delle nostre imprese mi tenni sempre in disparte per modestia». In questa breve confessione-ritratto, Laura Pariani si diverte coi cliché, rovesciandoli, dimostrando di accettare senza problemi la commistione tra i racconti originali e le storie apocrife (Watson ricorda di aver mandato Holmes «a Vienna dal dottor Freud per tentare di rimetterlo in sesto dai suoi vizietti», naturalmente senza riceverne in cambio gratitudine). La conclusione è degna di nota, perché Watson si congeda con un richiamo alla sua attuale esistenza di trapassato (una condizione che non sarebbe dispiaciuta a Conan Doyle, fervente spiritista truffato), e nomina un nuovo compagno di una vita ultraterrena senza avventure: un certo Charles Bovary, «anche lui medico: abita proprio qui nei paraggi. Evitiamo il più possibile di parlare del passato; discutiamo piuttosto dei progressi della scienza medica e facciamo lunghe partite a briscola: insomma, tiriamo avanti insieme. In pace». Uno spunto divertente, insomma, anche se pecca di faciloneria: Watson, non soltanto agli occhi dello Sherlockiano più reazionario, ha una dignità decisamente incontestabile, che gli viene dalla sua indubbia abilità di narratore di storie – un talento che Holmes non ha, e che per costituzione non potrebbe peraltro avere. Tuttolibri e la Pariani hanno offerto comunque uno svago decisamente leggero ed estivo – molto meglio, per dirne una, della spiacevole solfa sul carteggio Calvino-De’Giorgi.