I primi esperimenti in Italia di Romanzo d’Appendice a intreccio poliziesco a firma di Cleto Arrighi, Emilio De Marchi, Luigi Natoli e Carolina Invernizio, fuorno fortemente influenzati dalla figura del più grande investigatore della storia, Sherlock Holmes, creato da Sir Arthur Conan Doyle nel 1887. 

Negli ultimi fermenti letterari del secolo scorso, Victor Hugo e Alexander Dumas furono protagonisti indiscussi della diffusione del feuilleton nero francese, spesso contraddistinto da toni fortemente melensi, oltre che drammatici, e infarcito di una notevole retorica a contenuto moralistico.

Su questa scia poco dopo nacquero in Italia i primi esperimenti di Romanzo d’Appendice a intreccio poliziesco a firma di Cleto Arrighi, Emilio De Marchi, Luigi Natoli e Carolina Invernizio, sui quali ebbe grande influenza la figura del più grande investigatore della storia, Sherlock Holmes, creato da Sir Arthur Conan Doyle nel 1887.

Pur essendo pubblicata per la prima volta a Londra nel 1887, la serie di Sherlock arriva in Italia solamente nel 1895 ad opera della casa editrice Verri. Dopo circa quattro anni, nel 1891 è la volta della Domenica del Corriere che decide di stampare a puntate gli stessi episodi già pubblicati sullo Strand Magazine

 Da quel momento in Italia il personaggio di Sherlock Holmes diventa estremamente popolare anche a causa della corsa alla nuova puntata ingaggiata da tutti gli altri quotidiani che si contendevano il privilegio di pubblicare in anteprima i prossimi episodi inediti. Fu dunque grazie a questa competizione tra le maggiori testate italiane che l’investigatore d’oltre manica diventa uno dei punti di riferimento per tutta l’allora nascente letteratura gialla italiana.

E’ la definitiva affermazione del metodo deduttivo. Le gesta, le manie, le modalità investigative e perfino gli aspetti fisici di Sherlock Holmes vengono emulati con grande passione dai primi giallisti italiani, che ricalcano nelle loro prime creazioni il celebre investigatore in maniera piuttosto esplicita.

Inutile dire poi che subito dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, proprio in Italia trovava terreno fertile l’abitudine inveterata del detective londinese di oscurare con il suo indiscusso acume le stentate attitudini delle forze dell’ordine costituito nel risolvimento del mistero. Di modo che la polizia invece di ingaggiare un fiero duello intellettuale e di bravura con l’investigatore di turno, faceva semplicemente la parte di una spalla un po’ ridicola da commiserare e da deridere.

I primi tentativi di imitazione sono in verità ispirati a una smaccata sfacciataggine, tanto che Dante Minghelli, anno 1902, inaugura la serie di tale Shairlock Holtes impegnato in una serie di avventure tutte italiane, in un’operazione letteraria che oggi costituerebbe praticamente un reato di plagio vero e proprio. Soprattutto considerando il fatto che gli episodi venivano riportati da un io narrante identificabile con un sedicente Dottor Maltson. Chiamiamolo pure un tributo all’opera di Conan Doyle e al suo celebre investigatore.

Nel 1907 invece un giallista italiano non meglio identificato che opera con lo pseudonimo di Herbert Bennet, consegna alle stampe una raccolta di racconti il cui protagonista è l’investigatore Kutt Hardy che viene posto in spiccata contrapposizione con lo Sherlock Doyliano, e che viene descritto come un uomo dotato di singolare acume, capace di investigare seriamente quando invece il suo rivale Holmes si limiterebbe solo a “indovinare troppo e dedurre poco”. 

In questo clima di emulazione generale perfino il detective Italo Americano Joe Petrosino risalente al 1909 viene identificato a titolo di promozione editoriale come lo Sherlock Holmes d’Italia.

Siamo di fronte a un periodo in cui è praticamente impossibile pronunciare la parola detective o investigatore senza associare ad esse mentalmente l’immagine del sempiterno Sherlock.

 Perfino Riccardo De Medici, che più italiano non si può, protagonista de Il Segreto della Cassaforte di Umberto Cei pubblicato nel 1911, è un personaggio a mezza strada tra Joe Petrosino e Sherlock Holmes, di cui ancora viene emulato il metodo  investigativo, scevro però della compassatezza tipicamente anglosassone validamente sostitutita da una verve tutta nostrana.

 Altro pallido tentativo di emulazione, ma più garbato, è quello del 1909 a firma di Antonio Quattrini che inventa un certo John Siloch, protagonista insieme alla sua spalla, il commissario Clark, di una serie di racconti polizieschi.

Nemmeno la scomparsa definitiva di Sherlock dalle scene internazionali basta a fermare il fenomeno emulativo, perpetrato spesso per puri motivi commerciali e non certo per mancanza di ispirazione, tanto che nel 1906 un non meglio identificato A.Bukov, autore italianissimo a dispetto del nome esterofilo, pubblica  addirittura La Fine di Sherlock Holmes, ripresa dalle note delle memorie del Dr. Watson.

Abbiamo poi nel 1916 niente di meno che un confronto diretto quando Ventura Almanzi costruisce un’avventura in cui il suo Ben Wilson si scontra con Sherlock Holmes. Un poliziotto americano contro un detective inglese, in una storia scritta da un italiano. Tutti i parametri necessari per riscuotere un forte consenso di pubblico.

Il fatto che l’emulazione o la citazione di Sherlock fosse solo un espediente per incrementare le vendite e per attirare l’attenzione del lettore è dimostrato definitivamente nel 1929 quando Mario Giudice presenta il suo personaggio, un sacerdote investigatore, come Il Precursore di Sherlock Holmes, ambientando la sua storia nei quartieri popolari di una Roma 1882. 

Il fenomeno si stempera nel 1933 con una serie di racconti a sfondo umoristico in cui il celebre investigatore di Baker Street viene presentato non tanto come un ispiratore quanto come una macchietta comica per animare le pagine dei maggiori periodici e quotidiani satirici dell’epoca.

D’altronde va rilevato che raramente in Italia si poteva indulgere in protagonisti così geometrici e rigorosi come Sherlock, che diviene ben presto una maschera di contrappunto ai personaggi nostrani in complesso piuttosto folli, disordinati e istintivi, e che ben rapprentavano il vero carattere nazionale.

Da allora in poi Sherlock Holmes continua a venire citato a torto o a ragione in una lunga serie di opere serie, semiserie, letterarie, cinematografiche e teatrali, dimostrando comunque di essere una figura decisamente capace di sopravvivere perfino al suo creatore, cosa di cui si doleva molto il compianto Conan Doyle.

Addirittura il fascino di un Holmes capace di risolvere i più complessi intrighi con spietata lucidità viene sfruttato per mettere alla berlina le contraddizioni dei sistemi politici e sociali della nostra nazione in una serie di rappresentazioni satiriche.

In epoca moderna perfino la mitica coppia Fruttero & Lucentini non ha disdegnato di rievocare il celebre investigatore londinese per risolvere il caso lasciato incompiuto niente di meno che da Charles Dickens, il Mistero di Edwin Drood…

 

Scaduti i diritti di autore poi una lunga schiera di autori ha utilizzato lo Sherlock Holmes in carne e ossa come inviato speciale coinvolgendolo suo malgrado in avventure tipicamente italiane ambientate ai quattro angoli della penisola, da Sassuolo fino alla Laguna Veneta.

Continuando a godere quindi di un’intensa vita, al di là della sua dipartita letteraria, il celebre investigatore di Baker Street prosegue a calcare palcoscenici e pagine di libri con anglosassone disinvoltura passeggiando dentro e fuori da avventure, romanzi apocrifi, citazioni, ispirazioni e omaggi.

Vi interesserà sapere che ancora oggi i siti e i club dedicati a Holmes sono gran lunga superiori a qualsiasi altro ragguppamento di appassionati ispirati a qualsiasi altro personaggio, di carta o di carne, del mondo della storia e della letteratura.

Ritagliandosi quindi a pieno titolo il ruolo del più conosciuto eroe dell’immaginario collettivo, Sherlock Holmes è destinato a vivere glorioso la sua immortalità, essendo in assoluto il detective più conosciuto, citato ed imitato della storia, e facilmente riconoscibile anche per i non appassionati.