Perverso, brutale, cupo e immorale, questi furono alcuni degli aggettivi con cui venne definitivo il libro alla sua prima apparizione sul mercato editoriale, e proprio per questo dobbiamo tributare grandi onori all'autrice per aver saputo riprodurre e rappresentare passioni di tale portataa, nonostante fosse fin da fanciulla vissuta praticamente segregata nella canonica del padre, ai confini con la brughiera disperata e selvaggia, con pochissime esperienze mondane o relazionali a cui attingere per ispirarsi.

 

Ma vediamo la storia: in sintesi, esistono due famiglie contrapposte, di cui una medio borghese e l'altra decisamente agiata, le cui rispettive collocazioni geografiche da sole identificano chiaramente le relative differenze, una delle due dimore si trova nella vallata, e l'altra magione è invece situata sulla collina, una è oppressa ed oscura, l'altra solare e ridente. Su tutti loro soffia il vento implacabile e imperversa il clima ostile dello Yorkshire. E questi elementi già ce la dicono lunga sui simbolismi contenuti in questo testo.

 

Andiamo avanti:gli Earnshaw e i Linton sono due famiglie legate da un indissolubile destino, i giovani rampolli delle due famiglie, Catherine ed Edgar sono destinati a innamorarsi, ma, ed ecco il ma, nello scorrere naturale degli eventi viene introdotto un personaggio, Heathcliff, piccolo trovatello portato a casa improvvisamente dal capofamiglia degli Earnshaw, che mai ne spiega la provenienza.

 

Ora qui si apre una delle prime parabole non espresse ma chiaramente insinuate nella mente del lettore, che più avanti si chiederà: perchè tanto accanimento del destino contro questa famiglia, qual'è il motivo di tanto dolore e di tanto odio che su di essa si riversa? Il motivo sembrerebbe essere da ricercarsi in una sorta di giustizia divina, in quanto prepotente si insinua il dubbio che questo trovatello, comparso dal nulla, ed allevato come un servo, e non come  un familiare, altro non sia che un probabile figlio illegittimo dell'uomo. E se leggiamo la storia in questa chiave, non ci sembra più così strano assistere passo passo alla realizzazione della vendetta irrefrenabile e implacabile di Heathcliff, perennemente angariato ed umiliato dai due rampolli Earnshaw,  Hindley e Catherine.

 

Perdutamente innamorato della bella Catherine, che pur ricambiandolo gli preferirà Edgar, il giovane erede dei Linton, per non compromettere la sua posizione sociale e il suo status economico, dopo aver subito l'ultima umiliazione, Heathcliff fugge, e fa ritorno solo dopo alcuni anni immensamente ricco al solo scopo di  iniziare con fredda determinazione il suo piano perverso di vendetta, per condurre entrambe le famiglie alla rovina e poi consumare sè stesso in questo odio fino a lasciarsi morire, non senza aver dato prima disposizioni per essere sepolto a fianco di Catherine, il suo unico grande amore.

 

L'autrice sapientemente ci lascia all'oscuro su molte cose, non ci dice dove sia stato in tutti questi anni, non ci spiega come sia entrato in possesso di questa nuova ricchezza, non ci svela come mai i personaggi di queste due famiglie si lascino manovrarein qeusto modo fino a essere condotti alla morte, o alla rovina. Ma ci fa intendere, ancora una volta con raffinata maestria, che la causa delle loro disgrazie va ricercata nelle loro stesse debolezze, in un perfetto meccanismo catartico che ancora una volta ci avvicina al romanzo gotico.

 

Anche la struttura narrativa, piuttosto spericolata, soprattutto per l'epoca, ci richiama prepotentemente alla mente tutti i classici meccanismi che saranno poi propri di tutta la successiva letteratura gotica, la narrazione parte dalla visita di un vicino che a causa del maltempo è costretto, suo malgrado, a farsi ospitare: durante questo soggiorno trova delle scritte incise sulla cornice di una finestra e alcuni oggetti personali della defunta Catherine, venendone ad essere ossessionato a tal punto da sentire il bisogno di farsi narrare dalla cameriera di casa tutta la storia disperata di questa famiglia a partire dalle origini, in perfetto stile Ghost Stories.

 

La scelta particolarmente indovinata di affidare buona parte della narrazione a un personaggio della servitù consente all'autrice di beneficiare di  una voce narrante piuttosto libera, lasciando correre  espressioni a volte colorite e irrazionali, in modo da conferire al ritmo narrativo una sua propria vivacità che non annoia nonostante il gergo dell'epoca, come già detto, tenda comunque ad appesantirlo.

 

Non vi coinvolgo nella lunga saga familiare in cui i matrimoni si intrecciano tra fratelli e sorelle, in cui le colpe dei padri e delle madri, vengono, in perfetto carattere biblico, a ricadere sulle spalle dei figli, in cui ogni protagonista va incontro alla sua sorte incatenato e vinto. Ma, cosa singolare, tutto il sentimento deflagrante di amore e di passione che è alla base dell'intera vicenda ci viene narrato come un sentimento puramente cerebrale, una guerra di cervelli, una sfida della mente, un confronto eterno tra i due protagonisti senza tempo e senza luogo, destinato a proseguire anche dopo la morte di lei.

 

Questo precorre, e di molto, il moderno romanzo intimistico e psicologico proprio di ben altra epoca. Il cupo destino dei protagonisti ignavi e inattivi nelle mani del loro vendicatore, la violenza della rappresentazione dei sentimenti di amore e di odio che anima l'intera vicenda, il clima inclemente e il furioso vento del nord che impervesano durante l'intero romanzo, tutti questi elementi insieme si coniugano in un pathos, in un senso di predestinazione e di fatalismo catartico tipici di una tragedia greca.

 

L'ambientazione violenta di questa saga nordica cattura morbosamente in ogni singola tappa di questo lento evolversi dell'amore in tragedia, fino all'annullamento totale, facendo di questo libro una delle tappe più memorabili dell'intera letteratura femminile di tutti i tempi.