Voce fresca, giovane e competente, quella di Simone Sarasso, scrittore/

illustratore/maestro, classe 1978.

Il suo romanzo d’esordio, Confine di Stato, pubblicato originariamente dalla casa editrice Effequ e successivamente rimandata alle stampe da Marsilio in una edizione “director’s cut”, è ben presto diventato- più che meritatamente- un vero e proprio caso editoriale.

Il romanzo –una storia d’Italia decisamente inquietante- copre gli anni tra il 1954 e il 1972, e ci restituisce l’immagine di un Paese in mano al

la corruzione, a becere lotte di partito, a poliziotti collusi  e a crudeli stragisti.

Il libro è solo  la prima puntata di una trilogia noir sui misteri italiani, ambizioso progetto di questo giovane scrittore, che per “Confine di stato” si è chiaramente e dichiaratamente ispirato e fatto guidare da tre dei suoi numi tutelari, e cioè il James Ellroy di “American tabloid”,

il Giancarlo De Cataldo di “Romanzo criminale”, e il Carlo Lucarelli instancabile cacciatore di misteri. La trilogia dovrebbe alfine portare i suoi personaggi e noi lettori fino ai giorni di Tangentopoli.

La trama è complessa e praticamente impossibile da riassumere. Il libro inizia con la strage di Piazza Fontana –molto commovente, e sentita,

la ricostruzione- e attraverso  il delitto Montesi, il caso Mattei, gli anni ’60 difficili ed esaltanti, ci porta fino a Cuba, nel 1970, e al cospetto di un “misterioso” Editore che invece di finire i suoi giorni ai piedi di un traliccio scappa nell’arcipelago caraibico. Politica, fantapolitica, immaginazione pura; in uno stile pulito da dossier lo scopo di Sarasso è quello di dare voce a un’Italia delle ingiustizie, delle stragi impunite, dei delitti senza colpevoli. Per cercare soluzioni; o, forse, solo consolazione.

Da dove viene l’idea di questo libro?

L’idea è venuta leggendo i libri di Lucarelli e Romanzo Criminale di De Cataldo. Avevo un’urgenza: raccontare la storia dei cattivi, di quelli che hanno massacrato gli innocenti, che hanno messo le bombe. Nessuno l’aveva fatto prima. Ed è un vero peccato perché secondo me nel panorama italiano della crime novel non può mancare quel punto di vista.

Come dico sempre, se l’avessero scritto Carlo o Giancarlo forse sarebbe venuto meglio. Ad ogni modo, io ci ho provato ed eccoci qua.

Non ti sei sentito, in qualche modo “inadeguato” –vista la giovanissima età- ad affrontare argomenti così importanti e lontani nel tempo?

No, anzi. Credo che la distanza temporale aiuti a vedere con lucidità diversa fatti centrali per la storia del paese. Credo che non aver vissuto in prima persona l’inverno caldo del ’69, mi abbia concesso una lucidità maggiore nell’analisi degli accadimenti. Il procedimento funziona anche all’inverso: Girolamo De Michele nel suo Scirocco descrive l’universo hip-hop underground dei primi anni Novanta come nessun altro. Girolamo ha qualche anno in più di me e per questioni anagrafiche quel mondo non l’ha vissuto da dentro. Io, che in quel mondo ci sono cresciuto, non avrei saputo raccontarlo con la medesima precisione. E non ci è riuscito nemmeno Frankie Hi-Nrg, che di quell’universo, quindici anni fa, faceva

la cronaca in tempo reale.

La distanza è un privilegio per lo storico.

 

Cosa ha voluto dire, la strage di Piazza Fontana, per la storia d’Italia? E da dove bisogna partire, per poterla capire?

Piazza Fontana è la strage archetipica. È l’evento che ha posto le basi per l’Italia che ci ritroviamo. Si fa gran parlare del

la perdita dei valori, del lato oscuro della globalizzazione, dell’eccessiva americanizzazione (nell’accezione più spregevole del termine) del nostro paese. Per come la vedo io è impossibile leggere il panorama socio-politico odierno senza Piazza Fontana. Con la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura viene varata la Strategia della Tensione. La conseguenza diretta sono gli anni di piombo. L’innocenza persa nel ’69 è persa per sempre. E dopo i Settanta le porte saranno spalancate al modello (ri)produttivo yankee che fece furore negli Ottanta e ancora affligge il paese.

Per capire Piazza Fontana è necessario tornare indietro. Tornare alle pastette della Democrazia Cristiana dei primi Cinquanta. Non tanto perché ci sia stato realmente (nel libro lavoro parecchio di fantasia e mi prendo enormi libertà storiografiche) un legame tra la DC dei primordi e i bombaroli. Ma perché conoscere il panorama politico dell’epoca permette di fare chiarezza sull’insoddisfazione delle destre eversive e sullo spauracchio del “pericolo rosso”, veri motori della Strategia del

la Tensione.

 

“Confine di stato” è un romanzo corale. Come sei riuscito a tenere le fila dei personaggi e della narrazione senza mai perdere ritmo e trama?

 

In realtà è stato molto più semplice di quel che si possa pensare. Avevo in testa molte storie. È bastato raccontarle tutte, un pezzo alla volta.

Il romanzo ha avuto due diverse stesure. Com’è andata la storia, che differenze ci sono, etc etc? Ce ne  vuoi parlare?

La stesura che mi è più cara, il vero DIRECTOR’S CUT è quel

la uscita per Marsilio. Che infatti annovera un centinaio di pagine in più rispetto alla versione Effequ. All’epoca di Effequ, tuttavia, la scelta è stata dettata da logiche mercantili. Effequ è un editore minuscolo; produrre un volume come Confine in una tiratura così esigua come quel

la iniziale (1000 copie) fu un’operazione costosa che obbligava a un prezzo di copertina già di per sé abbastanza alto. Se avessimo mantenuto il numero di pagine che sono poi confluite nell’edizione Marsilio, il prezzo sarebbe stato definitivamente fuori mercato.

Nel prima edizione, tuttavia, erano compresi degli extra. Dei contenuti speciali (Un “dietro le quinte”, un racconto tangenziale, qualche immagine inedita) che abbiamo preferito non inserire nel libro. Si possono trovare, freeware, sul mio sito (http://confinedistato.blogspot.com), nella sezione CONFINE DI STATO.

Lo stato di allora era molto meno smaliziato di adesso. Un caso come

il Montesi, nell’Italia di oggi cosa provocherebbe?

So che non si risponde a una domanda con una domanda. Tuttavia, permettimi: la vicenda Mele (molto simile al caso Montesi, salvo che, grazie a Dio, qui non c’è scappato il morto) cosa ha provocato? Un bel nul

la. Mele è ancora al suo posto.

Ho trovato strepitosa la figura dello stragista, Andrea Sterling. Ce ne vuoi parlare?

 

Sterling è il risultato di più fattori. È probabilmente il personaggio meno umano che sia mai uscito dalla mia tastiera, dal momento che si è andato delineando un passo alla volta, di malefatta in malefatta. L’unica cosa che avevo chiara dall’inizio del progetto CONFINE DI STATO era

il suo passato. L’esperienza del manicomio criminale – desunta dai resoconti dei pazienti dell’ospedale psichiatrico di Collegno, chiuso all’inizio dei Settanta – era una storia che volevo raccontare da tempo. Il resto è venuto da sé: ogni volta che Sterling compiva un atto spregevole maturava, diventava qualcosa di diverso da ciò che era in partenza. L’unico aspetto della sua personalità a cui tenevo molto è che non fosse in alcun modo possibile provare simpatia per lui. Stando a quanto mi dicono i lettori, credo di esserci riuscito.

Ti sei dovuto documentare molto?

Direi di sì. Per quasi un anno non ho fatto che leggere, arrivando ad accumulare così tanto materiale da non riuscire a farlo stare in un libro solo. È nata così l’idea della trilogia.

E che sensazioni hai provato a leggere carte e documenti? Rabbia, o cosa?

 

Inizialmente rabbia. Specie quando studiavo le carte della vicenda Montesi. E ancor più quando mi sono addentrato in quel marasma che è Piazza Fontana. Rabbia per le vittime e rabbia per i sopravvissuti. L’immedesimazione è stata molto forte, specie quando ho dovuto scrivere la scena d’apertura e quella sui funerali di Stato a Milano.

Man mano che progredivo, però, la rabbia mutava in qualcosa d’altro. Diventava comprensione. più intuivo le trame nere, più sentivo

la necessità di dire. Dire coi modi e i tempi della fiction, dire tutto e magari dirlo sbagliato, esagerato, gonfiato. Ma fare in modo che

il messaggio arrivasse, anche a chi ha vent’anni e di quei fatti non sente parlare mai.

Fin dall’inizio la preoccupazione maggiore è stata quella di avvincere e incuriosire il lettore, di spingerlo a saperne di più. Perché è nei libri seri, come PIAZZA FONTANA di Boatti, che c’è la chiave per comprendere ciò che è stato. Per avere le idee chiare sugli errori del passato.

Capire, per fare il possibile affinché gli stessi errori non vengano ripetuti.

Il tuo romanzo è fiction. Ma credi che la realtà sia  molto distante?

Parlando dal punto di vista strettamente storiografico sì. Io mi sono preso libertà che non hanno alcun appiglio storico. Una su tutte la collusione dei vertici DC nell’omicidio Montesi.

Assolutamente indimostrabile. In senso più ampio, tuttavia, credo di aver reso abbastanza bene l’aria che si respirava all’epoca. Una parte di Stato contro un’altra. Una sorta di guerra civile segreta e strisciante.

 

De Cataldo ha avuto parole molto positive nei tuoi confronti. Ti sei ispirato a “Romanzo criminale” per Sterling?

 

Sterling è, nemmeno troppo velatamente, il Vecchio di Romanzo criminale. Da giovane, agli inizi della sua carriera. Senza il personaggio di Giancarlo non esisterebbe il mio.

C’è a un certo punto un Editore che fugge a Cuba… ne hai fatto una figura epica. Cosa pensi, realmente, del vero editore che invece fece una fine ben diversa, ai piedi di un traliccio?

Che non fosse il cavaliere in armatura scintillante che ho dipinto in Confine. Feltrinelli era un romantico, un genio, un eroe a modo suo. Ma non assomigliava per niente al mio Editore. Era una persona molto più complicata (e molto meno stupida).

Citando te, si tira spesso in ballo Quentin Tarantino. Cosa vuol dire per te questo regista?

Anzitutto, grazie. Cotanto binomio mi lusinga non poco.

Il cinema di Tarantino ha rivoluzionato la “comunicazione in nero”, ha cambiato il linguaggio della crime fiction. Ha reso, pur stigmatizzandoli, k

iller e dark ladies molto più umani di quanto non lo fossero vent’anni fa. Anche i cattivi parlano di cose banalissime “sul lavoro”. E ci può scappare un dialogo sul quarter pound with cheese prima di un’ammazzatina.

Questo cambio di prospettiva, questo sdoganamento del basso verso l’alto ha influenzato la generazione di scrittori che mi ha preceduto (in realtà ha stravolto l’intera cultura pop). Prescindere da Tarantino è impossibile.

In realtà, però, il mio vero regista culto è Robert Rodriguez. Un vero artigiano del cinema e una tra le menti più geniali e perverse del XXI secolo.

Progetti futuri?

Dal 7 gennaio è partita UNITED WE STAND, la prima graphic-net novel italiana. Progetto piuttosto ambizioso del sottoscritto e del maestro Daniele Rudoni, a metà tra internet e carta stampata. La graphic novel, in uscita bimestrale su www.lulu.com, racconterà la storia del colpo di Stato in Italia, perpetrato dagli uomini di Ultor, guidati dal “mio” Sterling. UWS è una sorta di futuro alternativo (è ambientato nel 2013) di CONFINE DI STATO.

Tutte le settimane  il sito www.unitedwestand.it  verrà aggiornato con un contenuto speciale. Un ampliamento dell’universo UWS per raccontare tutto ciò che, per limiti di spazio, il romanzo a fumetti non può contenere: racconti tangenziali, gallerie di immagini, trailer e collezioni di mp3.

Dal 28 gennaio, inoltre, è possibile partecipare attivamente alla costruzione del cosmo UWS. I lettori che lo desidereranno, rispondendo a una semplice domanda (la cui risposta è desumibile dalla lettura del primo numero di UWS), potranno accedere alla sezione WWIII in cui postare i propri racconti, le proprie immagini, i propri suoni.

Titolo: Confine di Stato

Autore: Simone Sarasso

Pagg. 411

Euro: 18,00

Marsilio Editore – collana Farfalle