Il canto dell’upupa di Roberto Mistretta, Cairo 2008.

“In una silenziosa valle di Sicilia, fredda d’inverno e infuocata d’estate, il maresciallo dei Carabinieri Saverio Bonanno conduce le sue indagini. C’è un protettore che è stato pestato a sangue, e un morto ammazzato; ci sono uomini di potere da affrontare a viso aperto e creature innocenti da proteggere con le unghie e con i denti. La verità, a volte, si nasconde nei piccoli gesti, o nelle parole. Che sono pietre”.

E vediamolo un po’ più da vicino questo maresciallo Saverio Bonanno: lasciato dalla moglie vive con la madre donna Alfonsina, la figlia Vanessa e il cane Ringhio. Si sposta con  macchina Punto (un po’ di pubblicità alla Fiat fa sempre bene). Abitudinario. Caffè in casa e poi al bar “Excelsior” (ma non lasciatevi ingannare dal nome). Fuma in continuazione, ottima forchetta, risultato la pancia. Che cosa mangia? “Grosse e tenerissime fettine di vitello, farcite con uova sode, pisellini di campagna, bocconi di pecorino, un filo d’olio, cipolletta tagliata fine e rosmarino”, oppure pasta al forno, coniglio con olive nere, patate con la crosta e doppia razione di cardi impanati con uova di casa, il tutto innaffiato con rosso siculo di Liscialba, o ancora ditali con le lenticchie insaporite con due palmi di cotica, ancora olive, pecorino, funghi di ferula arrostiti e insaporiti con aglio e prezzemolo tritati e amalgamati con olio e aceto e poi un inno alle sarde e via dicendo. Un inno alla buona tavola siciliana.

Ogni tanto arriva la tristezza quando affiorano ricordi della scuola, il tempo non passava mai e pensava a suo padre sempre più lontano. O ricordi di sua moglie che un giorno se ne era andata via con il trapezista di un circo famoso. Simpatia per l’assistente sociale Rosalia. Anzi, più che simpatia “Rosalia Santacroce era una di quelle donne che facevano ribollire il sangue”, “Emanava un caldo profuno di femmina. Inebriava e confondeva”, e ancora “Rosalia Santacroce aveva la voce di un soprano che canta un’aria leggera. Gli occhi erano due stelle che rischiaravano la notte, e risplendevano nello squallore della caserma come diamanti nel deserto”. A volte nella sua mente sesso e appetito si fondono umoristicamente “Con un leggero movimento del bacino, distese il fondoschiena rotondo, Bonanno lo immaginava soffice come un bignè di ricotta e farcì il sedile”. Animo sensibile anche alla vista della bellezza della natura “Dio che spettacolo! Perché gli uomini avevano smesso di guardare il cielo!”. Buono. Non spara anche quando c’è da sparare. Lo avrebbe ucciso il rimorso. E prova pena per i morti ammazzati. Per curare il catarro provocato dalle sigarette si rifugia dai francescani e qui ci trova le sue “amate” paste di Napoli. Buono ma se si arrabbia sono guai per tutti. Visto dall’ingegnere Riccobono “Quello sbirro grassone non era tipo da scherzare”. Alla fine “Con scatto ferino tornò indietro e gli ammollò due calcioni da mulo impazzito in mezzo alle cosce, sentendo disintegrarsi sotto la suola spessa l’orgoglio del gran re. Solo allora si accese una cicca e si sentì in pace con se stesso”.

E non molla l’osso come un mastino. Ad un certo punto mi ha fatto ricordare Don Abbondio di fronte a Carneade, qui sostituito da ganimede “Che minchia voleva dire ganimede?”. Insofferente dei regolamenti e delle regole un po’ come il Montalbano di Camilleri. Ascolta l’oroscopo alla televisione che non lo aiuta a tirarsi su. Ha un cuore d’oro, la sua parola “era più vincolante di un atto scritto”. Non capisce nulla in fatto di computer e internet e deve chiedere aiuto ai suoi sottoposti più giovani. Un bel personaggio, realistico e credibile.

Ma non è il solo riuscito. Anche la madre, regina della cucina e creatrice di allettanti manicaretti, o l’allucinante Salomone con il suo istinto pedofilo viscido e raccapricciante, o Attilio Steppani “sbirro per caso e pilota mancato. Pazzo di professione” e così via. E poi abbiamo mischiati, attraverso un equilibrato amalgama tra italiano e siciliano, delicatezza e forza cupa, umorismo e ironia con autentica commozione. Qualche scodinzolata allo stereotipo del  siciliano (e del settentrionale, mi pare) ma insomma non si può essere perfetti (lo scrivo spesso).

E finalmente un lieto fine dove tutto (o quasi) si aggiusta, che non se ne può più di finali che ci lasciano con gli occhi sbarrati e un peso tremendo sullo stomaco.

 

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