Era ancora presto quella mattina e Don stava già partendo verso l’infinito, dove gruppi di nuvole, nelle varie tonalità di grigio, sfiorate da un sole malinconico, avanzavano lentamente in direzione della montagna, sorvolandola come angeli collerici che portassero con sé il preannuncio di tempi terribili.

Nessuno di noi si mosse mentre il pallone nero si alzava in cielo, anche quando era ormai diventato una piccola sagoma di fronte alle enormi nubi. Disposti in un cerchio irregolare, al centro di una radura del bosco, vedemmo l’ultimo decollo di Don, sapendo che eravamo noi a restare soli al mondo, non lui. Forse ci era mancato il coraggio; forse, in quel momento, già intuivamo che non saremmo riusciti a far nulla senza Don e saremmo rimasti per sempre soggetti al giogo della sua assenza. Fu così che iniziò il Buon Inverno.

Quando il narratore, uno scrittore portoghese prematuramente frustrato e ipocondriaco, arriva a Budapest per un incontro letterario, è ben lungi dall'immaginare fin dove potrà portarlo la letteratura. Conoscerà infatti Vincenzo Gentile, uno scrittore italiano più giovane di lui, un uomo energico e mezzo matto, che lo convincerà a partire dall'Ungheria per andare in Italia, a Sabaudia, dove un famoso produttore cinematografico ha una casa nel bosco. Insieme a loro partono Olivia, la bella fidanzata di Vincenzo, e Nina, fidanzata e agente letteraria di John McGill, lo scrittore inglese il cui ultimo romanzo presto diventerà un film. La casa, isolata e nascosta da sguardi indiscreti, è il luogo in cui Don Metzger, il produttore, trascorre l'estate che chiama "Il Buon Inverno". Don Metzger ha due ossessioni: il cinema e le mongolfiere. Il gruppo arriva nella lussuosa casa in mezzo al bosco e lì conosce il regista Roger Dromant, sua moglie Stella e la celebre attrice Elsa Gorski. Tutti attendono ansiosamente, in un ambiente di alcol ed eccessi, l'arrivo del padrone di casa. McGill li raggiunge in piena notte, in tempo per scoprire il cadavere di Metzger nel suo lago privato. Ed ecco che ciò che sembrava il luogo delle ambizioni personali, si trasforma all'improvviso in una storia di puro horror. Andrés Bosco, l'enorme e minaccioso catalano che costruiva le amate mongolfiere per il padrone di casa, decide di nascondersi nella foresta circostante dicendo che lì attenderà la confessione dell'assassino per vendicare l'omicidio di Metzger. Da questo momento gli altri, spaventati, fragili ed egoisti, cominceranno a crollare. Disperati, barricati in casa, di fronte ad eventi tanto drammatici, esprimeranno il peggio di sé e, come in un racconto di Stephen King, tenteranno uno alla volta di scappare. Poiché Bosco vuole una confessione, altrimenti li ucciderà tutti, ognuno di loro scriverà una deposizione con la sua versione dei fatti. E sarà lo scrittore portoghese a doverle consegnare. Ma nessuna di queste deposizioni convincerà Bosco. Lo scrittore, allora, sarà costretto a inventarsi la sua versione dell'accaduto e attraverso una fuga rocambolesca consegnerà al lettore l'unica possibile verità.

João Tordo è nato a Lisbona nel 1975. Dopo la laurea in Filosofia ha studiato giornalismo e scrittura creativa a Londra e a New York. Nel 2001 ha ottenuto il Young Talents Literature Award a Lisbona, città nella quale attualmente vive e lavora come giornalista, e nel 2009 il premio José Saramago per As três vidas (2008). Oltre che di Il Buon Inverno è autore di Hotel memória (2007). Le sue opere sono pubblicate in Francia, Brasile e Croazia.

(Cavallo di Ferro, pp. 290, 16,50 euro, isbn 9788879070935  - dal 29 settembre in libreria)