- Caspita. Questo è davvero interessante. Ebbene, arrivederci – aggiunse Holmes mentre il treno cominciava a scivolare lungo il binario. – Tenga in mente, Sir Henry, quella frase della strana, antica leggenda che ci ha letto il Dottor Mortimer, ed eviti la brughiera nelle ore tenebrose in cui i poteri del Male si intensificano.

Quando fummo già lontani guardai indietro verso il binario e vidi l’alta, austera figura di Holmes che ci fissava, immobile.

Il viaggio fu rapido e piacevole, e lo trascorsi ad approfondire la conoscenza dei miei due compagni e a giocare con lo spaniel del Dottor Mortimer. Nel giro di poche ore il terriccio bruno era diventato color ruggine, i mattoni si erano fatti granito, e mucche dal manto rossiccio pascolavano in campi ben delimitati da siepi, dove l’erba rigogliosa e una vegetazione più lussureggiante testimoniavano un clima più generoso, sebbene più umido. Il giovane Baskerville guardava con entusiasmo fuori dal finestrino e lanciava esclamazioni deliziate nel riconoscere i tratti familiari dello scenario del Devon.

- Ho visto un bel po’ di mondo da quando me ne andai di qui, Dottor Watson! – esclamò. – Ma non ho mai visto un luogo che possa reggere il confronto.

- E io non ho mai visto un uomo del Devonshire che non fosse devoto alla sua contea – replicai.

- Dipende tanto dalla stirpe degli uomini quanto dalla contea – disse il Dottor Mortimer. Un’occhiata a questo nostro amico rivela la testa rotonda dei Celti, che racchiude al suo interno la passione e la forza di attaccamento celtiche. Il cranio del povero Sir Charles era di un tipo molto raro, per metà gaelico e per metà iberico, date le sue caratteristiche. Ma lei, Sir Henry, era molto giovane quando vide Baskerville Hall per l’ultima volta, no?

- Ero solo un ragazzo quando mio padre morì, e non ho mai visto il Castello perché lui abitava in una casetta sulla Costa Meridionale. Da lì andai dritto da amici in America. Le assicuro che qui è tutto nuovo per me come lo è per il Dottor Watson, e che sono oltremodo impaziente di ammirare la brughiera.

- Davvero? Allora il suo desiderio può essere facilmente esaudito, perché ecco che laggiù si comincia a scorgere la brughiera – ci fece notare il Dottor Mortimer, indicando fuori dal finestrino.

Sopra i quadrati verdi dei campi e la curva digradante dei boschi si elevava in lontananza una collina grigia e malinconica, dalla strana cima frastagliata, come in un qualche paesaggio fantastico di un sogno. Baskerville rimase a lungo immobile a contemplarla, e io lessi sul suo volto assorto quanto significasse per lui questa prima visione di quello strano luogo, dove uomini del suo stesso sangue avevano lungamente dominato e lasciato un segno così profondo. Se ne stava lì seduto, col suo abito di tweed e il suo accento americano, nell’angolo di una prosaica carrozza ferroviaria, eppure mentre osservavo il suo viso abbronzato ed espressivo sentivo più che mai quant’egli fosse un autentico discendente di quell’antica stirpe di uomini nelle cui vene scorreva un sangue fiero e autoritario. C’erano orgoglio, coraggio e forza di volontà nelle sue folte sopracciglia, nelle sue narici frementi, nei suoi grandi occhi castani. Se in quella brughiera proibita doveva attenderci un’impresa difficile e pericolosa, costui era perlomeno un compagno per il quale ci si poteva spingere a correre dei rischi con la certezza che li avrebbe condivisi senza esitare.

Il treno si fermò in una piccola stazione secondaria, dove scendemmo tutti. Fuori, al di là di una bassa staccionata bianca, ci attendeva un carro trainato da due cavalli piccoli e robusti. Il nostro arrivo costituiva con ogni evidenza un grande evento, poiché il capostazione e i facchini ci si affollarono intorno per portarci fuori i bagagli. Era un semplice e grazioso posticino di campagna, ma con mia sorpresa notai che presso il cancello sostavano due uomini dall’aspetto soldatesco, in uniforme scura, appoggiati a fucili a canna corta, che ci scrutarono attentamente al nostro passaggio. Il cocchiere, un ometto nodoso dal viso duro, fece un cenno di saluto a Sir Henry Baskerville, e pochi minuti dopo stavamo volando a tutta velocità sull’ampia strada bianca. Terreni da pascolo ondulati salivano da entrambi i lati, e vecchie case dai tetti aguzzi occhieggiavano in mezzo al fitto fogliame verde, ma oltre la pacifica campagna illuminata dal sole si ergeva immancabilmente, scura contro il cielo del pomeriggio, la lunga curva spettrale della brughiera, interrotta qua e là dalle sinistre colline frastagliate.