- Dispiace anche a me, signore, come pure a mia moglie. Ma a dirle la verità, signore, eravamo entrambi molto affezionati a Sir Charles e la sua morte ci ha sconvolti, rendendoci questi luoghi molto dolorosi. Temo che non ci sentiremo mai più a nostro agio a Baskerville Hall.

- Ma cosa avete intenzione di fare?

- Non ho dubbi, signore, che riusciremo ad aprire una piccola attività. La generosità di Sir Charles ci ha dato i mezzi per farlo. E ora, signore, forse è meglio che vi accompagni alle vostre camere.

Una galleria quadrata cinta da una balaustra correva intorno alla sommità dell’antico salone d’ingresso, alla quale si accedeva mediante una doppia scalinata. Da questo punto centrale si dipartivano due lunghi corridoi che percorrevano l’intera estensione dell’edificio, sui quali si aprivano tutte le camere da letto. La mia si trovava nella stessa ala di quella di Baskerville e le era quasi attigua. Queste stanze sembravano molto più moderne del nucleo centrale del Maniero, e la tappezzeria vivace e le numerose candele contribuirono a fugare l’impressione cupa che avevo provato al nostro arrivo.

Invece, la sala da pranzo che dava sull’atrio era un luogo di ombre e di malinconia. Era una stanza lunga, con un gradino che separava la zona sopraelevata dove sedeva la famiglia dalla zona inferiore destinata alla servitù. A un’estremità era sovrastata dal soppalco dei musicisti. Nere travi correvano sopra le nostre teste, lungo il soffitto annerito dal fumo. Con file di torce fiammeggianti a illuminarlo, l’animazione e la rude ilarità di un banchetto d’altri tempi, l’atmosfera avrebbe potuto addolcirsi; ma ora, con due gentiluomini in abito scuro seduti nel piccolo cerchio di luce proiettato da una lampada schermata dal paralume, la voce si abbassava istintivamente e l’animo si sentiva oppresso. Una tetra processione di antenati in ogni foggia di abbigliamento, dal cavaliere elisabettiano al damerino della Reggenza, ci fissavano dall’alto in basso e ci intimidivano con la loro silenziosa compagnia. Scambiammo poche parole, e per quel che mi riguarda fui contento quando il pasto ebbe termine e potemmo ritirarci nella moderna sala da biliardo a fumare una sigaretta.

- Parola mia, non è un posto granché allegro – disse Sir Henry. – Suppongo che ci si possa fare l’abitudine, ma per il momento mi sento come un pesce fuor d’acqua. Non mi meraviglio che mio zio fosse diventato un po’ nervoso a forza di vivere tutto solo in una casa come questa. Comunque, se per lei va bene, questa sera andremo a letto presto, e forse le cose ci sembreranno più allegre domattina.

Prima di coricarmi, tirai le tende e guardai fuori dalla finestra della mia camera. Dava sullo spazio erboso che si stendeva di fronte al portone d’ingresso. Più in là, due macchie di alberi cedui gemevano e ondeggiavano sotto la crescente sferza del vento. Una mezza luna appariva a tratti nelle spaccature fra le nuvole che passavano rapide. Alla sua luce fredda vidi, al di là degli alberi, la cresta frastagliata delle rocce e la lunga, bassa curvatura della brughiera malinconica. Richiusi le tende, con la sensazione che le mie ultime impressioni fossero in carattere con tutto il resto.

E tuttavia non furono veramente le ultime. Mi ritrovai stanco ma perfettamente sveglio, a rigirarmi senza posa nel letto, a cercare quel sonno che non arrivava. In lontananza un orologio batteva i quarti delle ore, ma per il resto un silenzio mortale avvolgeva l’antico castello. E poi, all’improvviso, nel cuore della notte, giunse un suono alle mie orecchie, chiaro, risonante, e inconfondibile. Era il singhiozzo di una donna, l’affanno represso e soffocante di chi è straziato da un’incontrollabile sofferenza. Balzai a sedere sul letto e ascoltai attentamente. Il rumore non poteva essere molto lontano e proveniva certamente dall’interno della casa. Per una buona mezz’ora aspettai con ogni nervo teso, ma non giunse altro suono se non il rintocco dell’orologio e il fruscio dell’edera sul muro.