Tokio Noir di Nakamura Fuminori, Mondadori 2015.

Un ladro a Tokio: Nishimura che racconta in prima persona le  mirabolanti avventure tra le tasche delle sue prede con dovizia di particolari sulle tecniche sfruttate. Squallido monolocale, brandina, piccolo guardaroba e un tavolo da stiro. Solo. Una grigia vita solitaria da ladro, insomma. Fino a quando non incontra un piccolo arraffatore e la sua mamma prostituta. E fino a quando non incontra un grande capo della malavita giapponese. Allora la sua vita cambia. Voglia di aiutare il ragazzo e incasinamento lavorativo, chiamiamolo così, perché coinvolto in una serie di rapine dall’oscuro obiettivo.

Movimento, inquietudine, paura, qualche salto sul letto che ci sta sempre bene, teneri ricordi della sua amata Saeko, che lo aveva lasciato, morta per overdose di farmaci. E ricordi della sua infanzia quando vedeva in lontananza una torre “Solenne, meravigliosa, esotica”. Forse un sogno, il suo sogno irraggiungibile. La vita nuda e cruda e la vita come un grande mistero ma attraverso una filosofia decisamente spicciola.

Mi trovo un po’ a disagio. Non vorrei passare per quello che vuole andare a tutti i costi contro il lancio iperbolico del libro “Intelligente, avvincente, sorprendente, commovente”. L’ho riletto in parte anche sulla tazza del gabinetto casalingo (ci tengo pure una rubrica http://theblogaroundthecorner.it/category/ospiti/letture-al-gabinetto/) dove le idee sono più chiare ma il risultato è rimasto lo stesso: libro tutt’al più discretoccio e deludente.