Le pentole del diavolo ;;di Nicholas Blake, Mondadori 2015.

Quando uno stronzo (scusate la parola) potente e vendicativo muore ammazzato, per di più in un bollitore della sua fabbrica del Dorset, i sospettati sono tanti. Ognuno con il suo bravo motivo. E’ ciò che accade ad Eustace Bunnet inviso a tutta Maiden Astbury e ritrovato nel suddetto bollitore, ridotto a scheletro, con i suoi abiti e la dentiera artificiale che dimostra inequivocabilmente l’identità del bollito. In precedenza stessa sorte era capitata al suo cane Tartufo e su questa vicenda stava indagando l’investigatore dilettante e poeta Nigel Strangeways, chiamato dalla signora Sophie Cammison, moglie del dottor Herbert che lo aveva conosciuto a Oxford, per tenere una conferenza letteraria al circolo del paese.

Naturalmente insieme al nostro Nigel, che non ha l’aspetto del detective alla Holmes o alla Poirot secondo la signora Cammison (“A me sembrate una persona non dissimile dalle altre” ma questo è ciò che voleva Nicholas Blake), indaga pure l’ispettore Tyler, grosso e pallido, e da qui la dicotomia delle analisi, dei sospetti, delle conclusioni.

Tre domande: chi ha ucciso il cane e il suo padrone è la stessa persona? E chi è l’assassino di Eustace? Quale il suo motivo? E dunque Nigel tutto teso con i suoi rimuginamenti birreschi a risolvere il problema cercando di entrare “nello spirito del delinquente” come per un buon componimento in latino “bisogna entrare soprattutto nello spirito dello scrittore”.

Aggiungo il solito testamento particolare che suscita sospetti, un frammento di pietra verde, momenti di azione, brivido, paura, altri morti ammazzati, il passato che ritorna, qualcosa di importante che sfugge all’inizio e si fa chiaro quasi in fondo (un classico). Colpo di scena finale non troppo difficile da prevedere per gli amanti del genere (però allora era un’altra storia) e qualche smagliatura nella trama.

Comunque l’assunto del libro è questo: il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.

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