Delitti al castello di Donald E. Westlake, Edgar Wallace e G.K. Chesterton, Mondadori 2015.

Il castello riveste una parte importante nella storia del romanzo poliziesco. Ce lo spiega in maniera esauriente Mauro Boncompagni con una serie di calzanti esempi nella sua introduzione a questo bel trio di vicende che ruotano attorno al misterioso e sinistro maniero.

Castello in aria di Donald E. Westlake

Il dittatore dello Yerbadoro in fuga vuole portare il malloppone dei soldi rubati al popolo con sé a Parigi. Come? Svuotando una dozzina di pietre del suo castello e riempiendole con “tutto il suo patrimonio”. Idea geniale ma c’è qualcuno che cercherà, a sua volta, di rubargli il castello. Ovvero una stravagante banda di ladri internazionali.

E dunque assisteremo a improvvise situazioni comiche, grottesche e paradossali create dal suddetto gruppo di sbandati altrettanto grotteschi e paradossali,  che seguiranno, di nascosto, tutto il percorso del famoso castello: chi in macchina, chi in taxi, chi in moto, chi sul treno. E ci sarà pure qualcuno che cercherà di fregare tutti gli altri (il bottino è troppo allettante). Battute su battute, intreccio esilarante di lingue diverse mentre la polizia, di fronte alle insistenze del dittatore derubato, arranca penosamente dietro un continuo “Facciamo progressi” “Stiamo facendo progressi”.

L’avventuriero di Edgar Wallace

“Un piccolo paese del Surrey vive momenti angosciosi per una serie di furti messi a segno da un vecchio pazzo. Il rebus si complica quando il ladro comincia a restituire la refurtiva e il castello avito degli Arran viene distrutto da un incendio” e ci si sposta all’albergo della Fonte di Skelley. Il morto ammazzato arriva dopo più di novanta pagine del racconto, annunciato da una serie di urli laceranti “di una donna in preda a un terrore mortale”. Ad ucciderlo il cosiddetto “pugnale di Aba Khan”, notevole pezzo di antiquariato della collezione del conte di Arran. Indaga l’ispettore inglese Collett (scontro con l’ispettore capo Blagdon) e il capitano Rennet, l’americano venuto via dalla polizia, per cercare chi ha fatto impazzire sua figlia dopo averla sposata.

Vicenda ingarbugliata il giusto con personaggi che hanno, in genere, qualcosa da nascondere. Perché, per esempio, alle dipendenze di Lorney, padrone dell’albergo dove accade l’assassinio, c’è un ex galeotto? Amore, gelosia, matrimonio in crisi, ricatto, braccialetto di brillanti perduto o rubato, occhio alla parola “sopracciglia” e a certi bottoni. Avventura frastagliata e detection abbarbicati in un amplesso incredibile con improrogabile citazione di Sherlock Holmes. Ma…e il vecchio matto che appare e scompare ogni tanto all’improvviso?

Il segreto di Padre Brown di G.K.Chesterton

Flambeau, “il più famoso criminale di tutta la Francia e in seguito investigatore privato in Inghilterra”, ora nel suo castello in Spagna con l’amico Padre Brown e l’inseparabile ombrello dal manico che sembra una mazza. Ai quali si aggiunge il viaggiatore americano Grendison Chace di Boston. Tema della conversazione la differenza tra il metodo investigativo, più o meno “scientifico”, dei più noti detective (Sherlock Holmes, Dupin ecc…) e quello del nostro pretucolo. Facile. Padre Brown “Io non cerco di guardare l’uomo dall’esterno. Io cerco di entrare dentro l’assassino…” fino a quando non riesce a vedere il mondo “con i suoi occhi iniettati di sangue”. Al diavolo gli altri metodi. Al diavolo la scienza.

Due romanzi ed un racconto. Tre storie diverse, tre stili diversi a costituire una lettura che ci vuole pronti agli sviluppi più grotteschi, aggrovigliati e impensati. Con riposino e goduria mentale, diciamola così, insieme a Chesterton.