Polvere negli occhi di Agatha Christie Mallowan, 1953 (Oscar Mondadori, 1985).

Il ricchissimo uomo d'affari Rex Fortescue muore avvelenato nel suo ufficio dopo aver ingerito della tassina, un letale alcaloide estratto dalle bacche di tasso. In tasca, un pugno di grani di segala. L'indagine condotta dall'ispettore Neele di Scotland Yard si rivelerà ben presto più complicata del previsto: anche la seconda moglie di Fortescue, infatti, inizialmente sospettata dell'omicidio, muore avvelenata. E pure la giovanissima servetta verrà trovata cadavere nel giardino di casa, quest'imponente dimora di famiglia (circondata da scure siepi di tasso e per questo chiamata Baracca dei Tassi) dove finora hanno vissuto tutti insieme appunto la seconda moglie di Rex, Adele; il primogenito di lui, Percival, con la moglie Jennifer; l'altra figlia di Rex, Elaine (ed è atteso dall'estero il fascinoso e scapestrato secondogenito Lance con la moglie Patricia); la cognata di Rex, sorella della prima moglie di lui; la signorina Dove, la governante di casa; una coppia di sposi, i Crump, maggiordomo lui, cuoca lei; la guardarobiera Ellen; e, appunto, l'ultima vittima, la piccola Gladys Martin. Ma, poiché Gladys (come molte altre ragazze appena uscite dall'orfanotrofio del villaggio) è stata a suo tempo a servizio da Miss Marple, sarà l'anziana signorina, appositamente giunta sul posto da St. Mary Mead, a prendere in mano le redini del caso…

Questo l'intreccio di Polvere negli occhi, scritto dalla Christie nel 1953 (lo stesso anno di Dopo le esequie, anch'esso giocato sull'improvviso esplodere di rancori e tensioni familiari a lungo repressi dopo la scomparsa del carismatico capostipite).

In Polvere negli occhi si trovano allineati alcuni ricorrenti spunti christiani. In primis, forse, quello appunto della servetta spaurita, impacciata e adenoidea (“Doveva avere qualche disfunzione ghiandolare” è l'ipotesi della Marple su questa specifica Gladys Martin), vittima predestinata del mascalzone di turno pronto a abbagliarla col suo fascino per poi piegarla a scopi delittuosi e infine, naturalmente, sopprimerla; o semplicemente testimone tardo e incerto di qualcosa d'importante che ne decreta la condanna a morte prima che, appunto, la decisione di parlarne con qualcuno (mai però con la polizia, in omaggio alla radicata riluttanza ad “avere a che fare con la polizia”) possa contribuire a metter la corda al collo all'assassino.

Capita così alla giovane Agnes de Il terrore viene per posta, trafitta con uno spiedo alla base del cranio e poi cacciata nel ripostiglio proprio il giorno in cui avrebbe dovuto andare a prendere il tè da Partridge, la matura tuttofare cui la ragazza s'era rivolta per un consiglio in merito a una questione che l'angustiava; e sempre la spaurita camerierina di casa ha un ruolo cruciale quanto inconsapevole nell'esecuzione del piano delittuoso in Un'idea geniale (tradotto anche come Il club del martedì sera), che inaugura i tredici racconti di Miss Marple e i tredici problemi (pubblicato nel 1932; due anni prima la Marple era stata protagonista de La morte nel villaggio, considerato l'atto di nascita del personaggio).

Dunque in Polvere negli occhi ci sono la cameriera sciocca e credulona e il fascinoso mascalzone: quest'ultimo anch'esso un archetipo christiano, quello del cattivo marito – evidentemente attivo nel profondo della psiche della Christie, a sua volta vittima, nella vita reale, dell'indifferenza e poi del tradimento del primo marito Archibald, e presente nelle sue varianti in Miss Marple nei Caraibi, Poirot sul Nilo, Nella mia fine è il mio principio…

Tra l'altro in Polvere negli occhi i tre delitti della Baracca dei Tassi, con quella loro successione così significativa e i grani di segala trovati nella tasca di Rex Fortescue (da cui il titolo originale dell'opera, A pocket full of rye) e il nome stesso della casa riporteranno alla memoria dell'anziana signorina una filastrocca per bambini (“Filastrocca da due soldi: una tasca piena di segala. Ventiquattro merli neri / chiusi dentro una crostata…”) che contribuirà a metter sulla buona strada lei e un troppo giovane ispettore Neele: “Lei ha trentacinque o trentasei anni, e penso che da ragazzo non si divertisse molto alle filastrocche, ma per chi è stato tirato su con le vecchie favole è molto significativo, non le pare?”.

Un tema, questo delle canzoncine infantili, anch'esso tipico dell'autrice: senza contare i tre topolini ciechi e i dieci piccoli indiani delle opere più celebri, una cantilena popolare verrà in mente anche al Poirot di Fermate il boia, opportunamente adattata alle circostanze: “La signora McGinty è morta. Com'è morta? Giù in ginocchio come me…”.

E ci saranno stati infatti dei merli, uccisi dal giardiniere e da lui appesi ai rami degli alberi da frutto, che qualcuno ha strappato via per chiuderli in una crostata fredda, pronta per la cena della domenica (“Oh che bello era quel piatto / proprio degno d'un re matto!”), gettandone un paio anche sulla scrivania di Rex: che un tempo, tanti e tanti anni prima, è stato protagonista – tra le altre – d'una losca vicenda legata a una certa Miniera dei Merli che ha visto la morte del socio McKenzie…

E sempre in Polvere negli occhi l'irresistibile sociopatico di turno viene individuato dalla Marple per così dire di rimbalzo osservandone la moglie (“Povera ragazza. È il tipo che finisce sempre con dei mascalzoni. Me ne sono resa conto non appena l'ho vista”), in omaggio, ancora, a un dogma christiano, quello della natura umana che è la stessa in ogni luogo e delle persone che, nel fondo, si assomigliano tutte: principio cardine del metodo investigativo marpliano cui la zietta Jane per la prima volta sugli schermi farà esplicito riferimento durante il puntuto discorsetto al nipote Raymond ne La morte nel villaggio (e, ancora, nel dialogo con Pat Fortescue in questo Polvere negli occhi).

Per cui, una volta individuata una somiglianza si potrà esser praticamente sicuri di un'identità di situazione e comportamento, pur con le inevitabili differenze legate al contesto, e formulare quindi un'ipotesi con la ragionevole certezza d'essere nel giusto…

A proposito di discorsi programmatici si può osservar di sfuggita che pur nel suo educato riserbo la Marple ne è prodiga: oltre ai frequenti rimandi alla natura umana – suscitati, del resto, dall'esigenza di metter le cose in chiaro con quanti si mostrano troppo frettolosamente inclini ad attribuire una limitata esperienza delle cose del mondo a questa signorina di provincia dall'esistenza trascorsa interamente o quasi nel villaggio di St. Mary Mead (inesperienza che è naturalmente lontana dall'appartenerle), ci sono poi le osservazioni sul carattere delle vittime nel quale in nove casi su dieci si annida il motivo per cui qualcuno ha deciso di farle fuori. Si veda il cruciale confronto tra la Marple e la domestica Cherry a proposito dell'ormai defunta Heather Badcock in Assassinio allo specchio, con la cavatina finale dell'anziana miss sulle persone che vivono pericolosamente pur non volendolo, non immaginandolo neppure…

In Polvere negli occhi ci sono poi la grande casa immersa nel verde, una delle tante dimore di famiglia su cui la Christie affonda il suo impietoso scandaglio: col suo elaborato, artificioso giardino e quel nome scioccamente riduttivo (“La Baracca dei Tassi: che razza di nome, si disse l'ispettore Neele… Lui sì, sapeva bene che cos'era una baracca perché c'era nato…”), l'arredamento pretenzioso e tutto il suggestivo apparato del tè delle cinque: “Due torte, pasticcini, biscotti e gallette col miele” nello stizzito riepilogo della povera Gladys, ansiosa d'uscir di casa per il suo appuntamento. 

Tra l'altro, per quanto molto lauto (in un altro riepilogo, quello dell'ispettore Neele a un'attentissima Miss Marple: “Gallette e miele, torta di cioccolato e parecchia altra roba…”), non è neanche perfetto, questo tè, ci son troppi dolci e mancano i panini che di solito prepara appunto la cameriera: “E, per quel giorno, non ne avrebbe preparati… Ne avevano più che abbastanza senza che lei diventasse matta a tagliar panini col pomodoro e col foie gras. Aveva altro a cui pensare…”.

In questo giallo della Christie il tè, comprensibilmente, ha un'importanza cruciale e va in scena di continuo: non riesce a far bollir l'acqua come si deve la non più giovane Somers, “la più nuova e la meno efficiente delle dattilografe” in forze nell'ufficio del ricco uomo d'affari (“Ed il re stava al tesoro / a contare argento e oro…”); per quest'ultimo prepara un tè speciale, con una tazza speciale e biscotti speciali la bionda Grosvenor, segretaria particolare, scivolando con grazia di cigno tra le altre impiegate e tenendo il vassoio come per un'offerta rituale; il signor Fortescue è l'unico che beva tè anche a colazione, gli altri di famiglia prendono il caffè; accanto alle panciute teiere d'argento, sui piatti tenuti in caldo perché ognuno possa servirsi da solo ci sono poi “uova strapazzate e pancetta, pane tostato, marmellata d'arancia… prosciutto…” (riepilogo della governante di casa, l'enigmatica signorina Dove, che se necessario serve il tè e sbriga le faccende); mangia troppi dolci e si sente troppo sola Jennifer Fortescue, l'ex infermiera presa in moglie dall'ipocrita Percival, primogenito di Rex, che gli altri di casa tengono a distanza; dopo aver più volte protestato per il ritardo nel servirlo sta infine bevendo la sua tazza di tè, tenendo in mano una galletta spalmata di miele e guardando ammirata il nuovo arrivato Lance, figlio minore del marito Rex, la bella Adele, seconda moglie del defunto, poco prima d'essere uccisa (“La regina era in saletta / a mangiar miele e galletta…”); reclamando una fetta di quella bella torta di cioccolata e magnificando il décor all'inglese del tè (“Da un pezzo non lo vedevo servito così…”), lo scaltro Lance svia abilmente il discorso un attimo dopo un'osservazione imprudente – o forse no… – e potenzialmente offensiva accolta con durezza dalla sorella Elaine; mette a caso delle foglie di tè nella grande teiera d'argento e poi pianta lì tutto e si precipita in giardino a ritirar forse la biancheria stesa ad asciugare e dimenticata la nervosa Gladys (“La ragazza nel giardino / sciorinava panni in lino…”), che ha indossato le calze e il vestito della festa e doveva aver qualcosa per la testa (riepilogo dell'arcigna signora Crump, la cuoca) e certo non immagina che di lì a poco qualcuno le stringerà una calza intorno al collo fino a soffocarla per poi pinzarle sul naso una molletta da bucato…

L'unica che non prenda mai il tè – o meglio che non venga mai descritta nell'atto di adempiere a questo rituale dalle complicate potenzialità sociali – è l'eccentrica signorina Ramsbottom, l'anziana cognata del defunto: che ha scelto anni addietro di vivere segregata nella propria stanza, lontana dal peccato che serpeggia ovunque (“Per loro sarà fuoco e dannazione”). Unici svaghi, meditazione e preghiera; e quei solitari con le carte, a metà tra l'innocuo svago salottiero e l'intermediario magico con quanto è di là da venire: “Fante nero… Bello ma col cuore nero…” (il rintocco del sovrannaturale, altro tipico spunto christiano). Anche il nipote Lance, che pure è tornato a casa giusto in tempo per partecipare al ricevimento del piano di sotto, andrà a salutarla subito dopo…

In Polvere negli occhi ci sono due salottini realmente perturbanti. Il primo è questo della Ramsbottom – temperato tuttavia da una certa vena di sotterranea comicità: “Tuo padre s'è fatto uccidere ieri…” è una battuta degna d'un allestimento con Maggie Smith nei panni della terribile zitella.

Il secondo è l'anonima stanza d'ospedale che accoglie anch'essa ormai da anni la signora Helen MacKenzie, ricoverata volontaria della casa di cura di Pinewood: con quelle battute sinistre (“Io l'ho detto ai bimbi, gliel'ho ripetuto, gliel'ho fatto giurare ogni notte…”. “Che cosa ha fatto giurare ai bimbi, signora?”. “Che l'avrebbero ucciso…”) e l'ormai patologica incapacità di passare oltre, di dimenticare quanto accaduto decenni prima: “Ho mangiato un uovo a colazione stamattina. Era proprio fresco. Non è incredibile se si pensa che è stato trent'anni fa?”.

In entrambi, dopo tutti quei trionfi di torte al cioccolato e panini imburrati di sopra e di sotto – per citare un altro incantevole allestitore di party da fiaba, il Collodi di quella festa d'inclusione per Pinocchio finalmente sul punto di diventare un ragazzo vero cui il burattino non si presenterà mai – la scelta cade invece su un'assoluta assenza di cibo.

Non offre neppure una tazza di tè alla giovane Pat Fortescue né alla vecchia Miss Marple la signorina Ramsbottom, che pure sembra apprezzare entrambe e alla Marple offrirà persino ospitalità. A Helen McKenzie nulla porta offre o regala l'ispettore Neele: si tratta d'una visita di lavoro, certo, ma è uso portar almeno dei fiori alle anziane signore da cui ci si aspetta di cavar qualche cosa, se non altro per ingraziarsele… Ossessivamente assorte entrambe in un autarchico, autosufficiente lavorio, dunque, queste due donne: continua a disporre sul tavolo le carte del suo solitario la Ramsbottom; è ansiosa di tornare a leggere il libro, una vecchia Bibbia di famiglia da cui lei ha cancellato il nome della figlia Ruby, colpevole d'aver scelto di dimenticare (“Guardi cos'ho fatto a Ruby…”) la vecchia McKenzie.

Di fatto è questo uno degli intrecci christiani maggiormente dotati dal punto di vista del potenziale inquietante (un altro potrebbe essere Un cavallo per la strega, con quelle tre comunissime vecchiette scaltre…): con quella molletta da bucato stretta sul naso della piccola Gladys (“E poi venne un uccellino / a beccarle via il nasino…”), i merli marci dentro le crostate, il cupo salottino della Ramsbottom e la pazzesca logica della McKenzie. E poi naturalmente quella vecchia filastrocca, un po' sinistra come molte canzoncine inglesi per l'infanzia, e quelle morti che sembrano esser state inflitte al solo scopo d'aderirvi scrupolosamente, con la meticolosa precisione propria d'un assassino seriale…