Nero come il sangue di Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi, Solferino 2021.

Impossibile riferire tutto quello che c’è in questo lavoro di oltre cinquecento pagine. Troppi gli esempi ed eventi citati. Saltimbeccherò (mio conio) in qua e là. Intanto, non ci crederete, ma si uccideva anche per una nobile causa: lo studio del corpo umano da parte di certi anatomisti dell’Ottocento come Alexander Monro III e Robert Knox, grazie al “servizio” di qualche assassino che veniva ben pagato. Sto scherzando, naturalmente, sulla  nobile causa, per niente nobile. Ma in un certo periodo storico era proprio così. L’Ottocento è ricco di episodi efferati. Il primo serial killer sembra essere stato il milanese Antonio Boggia che uccideva a scopo di rapina. Finì condannato nel 1861 alla pena di morte per impiccagione. I vari episodi criminali, oltre a quelli citati nel libro, danno la stura a Cesare Lombroso di impiantare la sua famosa teoria per cui tutto dipende “da una predisposizione di natura fisiologica” che spesso si riflette “nella configurazione anatomica del cranio.” Lo vedremo addirittura nel 1873 difendere “il vampiro della Bergamasca” che succhia il sangue delle vittime, perché affetto da “una grave forma di necrofilia, unita alla pellagra e al cretinismo.”

Desiderio di soldi, desiderio di sangue e desiderio d’amore. Desiderio d’amore, desiderio struggente d’amore o, meglio, erotomania, che può spingere, come gli altri due, ad azioni folli, fino ad uccidere. Se si tratta di una donna magari con metodi più “gentili”. A Christiana Edmunds, siamo nell’epoca vittoriana, bastava una scatola di cioccolatini, opportunamente “lavorati” per raggiungere il suo scopo, tanto che fu definita la “Chocolate Cream Killer.”

I malati di “satiriasi” come  Jack lo Squartatore, invece, non si limitano soltanto ad uccidere ma, appunto, a squartare e mutilare i cadaveri. Soprattutto prostitute. Però non sappiamo ancora oggi chi fosse, pur essendo state formulate diverse ipotesi.

La Belle Epoque per certi versi non è stata bella per niente. Lo dimostra, tra gli altri, il caso di Vincenzo Paternò e la sua tragica storia con la contessa Giulia dei principi Filangeri Tasca di Cutò. Finita male, naturalmente. E poi c’è il famoso Landru, ladro, truffatore e omicida nella Parigi del primo Novecento. Subito imitato dal nostro Cesare Serviatti, soprannominato “Landru del Tevere.”

Certi fatti efferati, come la storia di Nathan Leopold e Richard Loeb nell’America degli anni Venti, possono offrire lo spunto per film famosi, vedi Nodo alla gola di Alfred Hitchcock, interpretato da un grande James Stewart. O anche idee per capolavori alla Agatha Christie, come dichiarò ella stessa per  il suo incredibile “Assassinio sull’Orient Express”, ispirato ad un fatto di cronaca avvenuto nel New Jersey nel 1932. Ovvero il rapimento del bambino Charles August Lindbergh jr., figlio dell’”eroe” Charles Lindbergh ricordato da tutti per la prima transvolata atlantica. L’evento dette vita al “processo del secolo, uno “dei primi e più grandi esempi di clamore mediatico attorno a un caso criminale.” Travolgente e assurdo.

Ma non è finita qui. Ci mancherebbe. Basta citare il caso “Montesi” che suscitò negli anni Cinquanta un casino del diavolo nel nostro paese tra innocentisti e colpevolisti. Complici i giornali di cronaca nera e complice pure la politica, come il lettore avrà occasione di appurare. Si uccide per mille motivi, fra cui possiamo annoverare l’omicidio settario, ricordando la triste “Family” di Charlie Manson che, tra gli altri sfortunati, fa fuori, nella Los Angeles degli anni 60/70, anche la bellissima attrice Sharon Tate, moglie di Roman Polanski. Aggiungiamoci la psicopatia che ha un certo peso nel togliere di mezzo i nostri simili. Come possiamo appurare al capitolo dodicesimo con la storia di Angelo Izzo a Roma, per renderci conto di quali nefandezze sia capace.

Ogni volta che leggo le gesta di uno sterminatore di vite penso di essere arrivato al culmine, al punto più alto. Sbagliato. Andando avanti si scopre che non esiste limite alle macellerie umane. Come la storia di Ted Bundy che supera di gran lunga le molte già conosciute. Continuando imperterriti nella lettura ne troveremo altre non meno efferate e inquietanti: quella di Ted Caczynski, di Jeffrey Dahmer, di O.J. Simpson, di Maurizio Gucci, di Donato Bilancia, di Gianni Versace, di suor Maria Laura Mainetti. Insomma si uccide per qualsiasi, ributtante scopo, compreso quello su commissione e quello più prettamente ideologico. In tutti i modi e con tutti i mezzi anche facendo saltare in aria, all’occorrenza, le povere vittime come nel caso di Unabomber.

Dunque un incredibile viaggio dalla Rivoluzione francese ai nostri giorni dentro i recessi più nascosti e terribili, nei grovigli inestricabili dell’animo umano. Una storia impressionante di delitti incastonati nel clima del momento, attraverso il ripercorrere delle vicende individuali e sociali. Una lotta serrata fra chi uccide e chi tenta di scoprire il colpevole, avvalendosi delle sempre più moderne tecniche di indagine che si sono evolute nello scorrere del tempo. Vedi, per esempio, la rivoluzione del DNA e la figura del Profiler.

Il pericolo era quello di offrire al lettore un polpettone micidiale e indigesto. Gli autori, invece, hanno saputo sfruttare e padroneggiare una messe incredibile di informazioni tratte da ogni genere di pubblicazione (dalla stampa, ai processi, alla cultura letteraria e cinematografica…) offrendo, seppure dentro un contesto agghiacciante, una lettura “semplice” e spedita, non priva di colpi di scena, come in un classico giallo che si rispetti.

Chapeau!