Battuta sin troppo sfruttata se il discorso cade su un certo tipo di Giallo, quello Inglese classico, spesso popolato da annoiati e eccentrici aristocratici intenti a giocare a bridge nelle accoglienti biblioteche delle loro residenze di campagna, immerse nel verde e sulle quali vigila,silenzioso e discreto nume tutelare, efficiente e imperturbabile guardiano, il maggiordomo. Anche se tutti conosciamo bene il personaggio in questione, icona quasi unica nella letteratura poliziesca trattandosi di “un classico nel classico”, Agatha Christie, con brevi ed efficaci tratti, così ne introduce l’immagine: - …la sua fisionomia,il suo atteggiamento, tutti i suoi gesti sembravano dire: “Non siamo abituati agli assassinii, fra queste mura! Ma facciamo fronte alla disgrazia raccogliendo tutto il nostro sangue freddo. Moriamo, se è necessario,ma cerchiamo di non perdere la calma!. – (“Il segreto di Chimneys”, 1925). Questo silenzioso, rassicurante anfitrione, artefice principe del perfetto funzionamento del microcosmo domestico, all’occasione gran diplomatico, assai spesso eminenza grigia della vita che si svolge nel castello, capace, quanto all’occasione discreto consigliere, è stato dunque, incredibile a dirsi, a un certo punto, inpietosamente investito dell’ ingrato ruolo di sospetto, ambiguo autore di crimini efferati. Va notato, ed è abbastanza curioso, che nonostante la conoscenza diffusa dello stereotipo, da parte di tutti si può dire, anche di chi non è appassionato del Genere e magari ha letto un solo Giallo in vita sua, e nonostante questo sia diventato quasi un clichè per indicare un sottogenere specifico, quello logico-deduttivo di scuola Inglese, e,all’interno di questo,una rappresentazione ben nota all’immaginario collettivo, ebbene cionostante si può tranquillamente affermare che sono ben pochi coloro che possono dichiarare di aver letto un romanzo, o un racconto, in cui l’ asserzione che compare nel titolo prenda consistenza. A chi è veramente capitato di leggere di un delitto il cui colpevole è il maggiordomo? Questa situazione così tipica eppure così rara nella storia del romanzo poliziesco ha avuto modo di prender forma in una trama in pochissime occasioni, in realtà. Anche se già nel “Mistero delle due cugine” (1878) di Anna Katharine Green compare una figura di maggiordomo ambiguo ed equivoco, il primo autore a trascinare nell’ombra del sospetto e del crimine un tale austero personaggio e a renderlo colpevole di tradimento e furto è Sir Arthur Conan Doyle, in un racconto della bella raccolta “Le memorie di Sherlock Holmes” (1893), salvo poi fargli pagare con la vita il fio delle sue colpe. Successivamente nel romanzo di Herbert Jenkins “The strange case of Mr. Challoner” (1921) è ancora il maggiordomo a commettere il delitto. Ma è solo con Mary Roberts Rinehart, celebre madrina americana del giallo psicologico, autrice tra l’altro del “La scala a chiocciola”, (1907) (celebre nella trasposizione cinematografica del 1946 per la regia di Robert Siodmak) e di numerose altre opere sullo stesso tema, che l’espressione: “The butler did it ” diviene un clichè noto al grande pubblico. Infatti, attraverso il suo romanzo “The door” (1930), pubblicato in Italia nei Gialli Mondadori (1933) con il titolo “L’incubo” , e da molti considerato il suo capolavoro, “The butler does it ”, ufficialmente, e da lì in avanti il lettore comune può iniziare, leggittimamente, a guardare con sospetto la figura del maggiordomo. C’è da sottolineare a questo proposito come appena due anni prima, nella undicesima delle venti regole da lui stilate nel 1928 sul “delitto d’Autore” S.S.Van Dine, il celebre creatore di Philo Vance nonché teorico e studioso di narrativa poliziesca, metta al bando il ricorso al vecchio trucco di scegliere come colpevole un domestico, per semplice correttezza verso il lettore. Quest’ultimo, infatti, si troverebbe facilmente fuorviato e dal fatto che trattasi in genere di figura di secondo piano, spesso in ombra rispetto ai veri protagonisti dell’intreccio, e dal momento che il Maggiordomo è l’unico con piena facoltà di muoversi per la casa, leggi: “sulla scena del delitto”, in regime di assoluta libertà proprio per espletare al meglio la sua funzione di angelo custode del focolare domestico. Con buona pace del grande Van Dine la sua undicesima regola del buon giallista venne disattesa, negli anni, oltre che dalla Rinehart anche da altri suoi colleghi, non ultima la Regina del delitto, Agatha Christie ( “Tragedia in tre atti”, 1934).