Come ho detto, e se non l’ho detto lo dico ora, in quel momento non avevo, perché non l’ho mai avuta, moglie né figli, che potevo anche avere senza bisogno di sposarmi, e neppure mamma e papà che se ne erano andati da un pezzo. Ma avevo Giulia che riempiva lo stesso la mia vita. Giulia era una gioviale signora matura dall’aspetto rotondo che mi metteva a posto la casa e mi teneva perfettamente al corrente di tutti gli eventi della sua prolifica famiglia e, quando questi non bastavano, sapeva ampliare il discorso anche a quelli dei vicini e via via ad altri di interesse nazionale e talora anche internazionale. Una fonte inesauribile di fresche notizie che mi arrivavano tutte insieme da una cannella perennemente aperta. In più c’era in lei quel senso materno che la induceva a trattarmi come un bambino. Con gentilezza e rispetto perché io ero pur sempre un dottore, anche se  non mi ero mai laureato. Ma questa è un’altra faccenda.

“Buongiorno, dottore, come va?”.

“Come va, come va Giulia, andava meglio ieri”.

“O che è successo da turbarla in questo modo? Ora che la guardo più da vicino ha una faccia che gli casca il mento per terra”.

“Sa che non voglio parlare di lavoro a casa, ma è successo un altro caso particolare…”.

“Un attentato”.

“Ma no”.

“Meno male, sembra che ora vadano di moda. Io mi ammazzo, ma ammazzo pure te. Che gente!”.

“Ma no, ma no, lasciamo perdere. Vado a lavarmi le mani”.

“Come vuole. Ma sì, parliamo d’altro. Vuole sapere che cosa le ho preparato?”.

“Preferisco la sorpresa”.

“E’ già in tavola. Venga che si fredda”.

“Accidenti! Questa sì che mi rimette al mondo! Dal profumo direi che sono spaghetti ai funghi porcini”.

“Si vede che ha buon naso. Mangi che si sentirà meglio, mentre io lo tengo aggiornato sulle mie storie che le stanno tanto a cuore”.

“Che mi stanno?”.

“Che le stanno a cuore, dottore, me l’ha detto lei qualche giorno fa, quando le ho parlato di mia cognata Luigina, ma poi non ho finito…se la ricorda?”.

“In questo momento ho come un vuoto di memoria, lei mi capisce…”.

“La capisco, la capisco ma il vuoto di memoria glielo riempio io. Dunque mia cognata Luigina, come le dicevo…quella morettina vispa…una volta è venuta a trovarmi anche qui, se la ricorda?”.

”Aridagliela. Le ho già detto che ho come un vuoto…”.

“Due occhioni neri, anche troppo grandi per il mio gusto, un faccino malizioso…”.

“…di memoria”.

 “Insomma quella lì che sa fare tutto e vuole tutto e cìcìcì e ciàciàcià…”.

“Cosa?”.

“Suvvia, dottore, non mi caschi dalle nuvole. Lei che ha studiato non mi vorrà dire che non sa cosa significhi cìcìcì e ciàciàcià”.

“No, almeno che non sia il nome di un nuovo ballo sudamericano”.

“E cicìcì e ciàciàcià, una che si dà le arie, che parla, parla e parla solo per il gusto di sentire la sua voce. Insomma vuole prendere la patente quando non sa guidare nemmeno i carrelli della spesa. Se la immagina, lei, a guidare una macchina!”.

“Le ho già detto…”.

“Uffà, però, con lei non c’è da farci un discorso. Dove ero rimasta…”.

“Ai carrelli, questo me lo ricordo”.

“Ah, sì…dunque il marito, conoscendola bene, si oppone ma lei la spunta, indovini come?”.

“O sora Giulia, ora glielo dico alla toscana…”.

“Con uno sciopero”.

“Con uno sciopero? Questa è bellina. Che ha smesso di fargli la pappa?”.

“No, ha smesso di fare all’amore”.

“Porc… Non me l’aspettavo. Credevo che questo tipo di sciopero colpisse solo quelli che non lavorano, come ci ha insegnato Celentano”.

“Aspetti, non è mica finita qui…”.