La Adelphi porta in libreria un grande inedito: La mano (La main, 1968) di Georges Simenon.

La trama

Se Donald Dodd ha sposato Isabel anziché, come il suo amico Ray, una di quelle donne che fanno «pensare a un letto», se vive a Brentwood, Connecticut, anziché a New York, è perché ha sempre voluto che le cose, attorno a lui, «fossero solide, ordinate». Isabel è dolce, serena, indulgente, e in diciassette anni non gli ha mai rivolto un rimprovero. Eppure basta uno sguardo a fargli capire che lei intuisce, e non di rado disapprova, le sue azioni – perfino i suoi pensieri. Forse Isabel intuisce anche che gli capita di desiderarle, le donne di quel genere, «al punto da stringere i pugni per la rabbia». E quando, una notte che è ospite da loro, Ray scompare durante una terribile bufera di neve e Donald, che è andato a cercarlo, torna annunciando a lei e a Mona, la moglie dell’amico, di non essere riuscito a trovarlo, le ci vuole poco a intuire che mente, e a scoprire, poi, che in realtà è rimasto tutto il tempo nel fienile, a fumare una sigaretta dopo l’altra: perché era sbronzo, perché è vile – e perché cova un odio purissimo per quelli che al pari di Ray hanno avuto dalla vita ciò che a lui è stato negato. Isabel non dirà niente neanche quando Ray verrà trovato cadavere: si limiterà, ancora una volta, a rivolgere al marito uno di quei suoi sguardi acuminati e pieni di indulgenza. Né gli impedirà, pur non ignorando quanto sia attratto da Mona, di occuparsi, in veste di avvocato, della successione di Ray, e di far visita alla vedova più spesso del necessario. Ma Donald comincerà a non sopportare più quello sguardo che, giorno dopo giorno, lo spia, lo giudica – e quasi lo sbeffeggia.

L'incipit

Ero seduto sulla panchina, nel fienile. Non solo ero consapevole di trovarmi lì, di fronte alla porta sgangherata che, sbattendo di continuo, lasciava entrare raffiche di vento e neve, ma mi vedevo chiaramente come in uno specchio, e mi rendevo conto di quanto fosse incongrua la mia posizione. 

La panchina era una panchina da giardino dipinta di rosso. Ne avevamo tre, che durante l’inverno mettevamo dentro, insieme al tagliaerba, agli attrezzi da giardinaggio e alle zanzariere delle finestre. 

Cent’anni prima il fienile, anch’esso di legno dipinto di rosso, era stato un fienile a tutti gli effetti, ma ormai era adibito a spaziosa rimessa. 

Se comincio da quel momento è perché è stato una specie di risveglio. Non avevo dormito, eppure emergevo di colpo nella realtà. O forse era l’inizio di una nuova realtà? 

Ma allora quand’è che un uomo inizia a… No! Mi rifiuto di lasciarmi scivolare lungo questa china. Sono 

un giurista e ho l’abitudine, anzi – sostiene chi mi conosce – la mania della precisione. 

Eppure non so neanche che ore fossero. Le due del mattino? Le tre? 

Ai miei piedi, sul pavimento di terra battuta, si vedevano ancora i filamenti rosa della piccola torcia elettrica che emetteva l’ultimo bagliore senza rischiarare più niente. Con le dita intirizzite, tentavo di sfregare un fiammifero per accendermi una sigaretta. Avevo bisogno di fumare. Era come un segno di ritrovata realtà. 

L’odore del tabacco mi sembrò rassicurante, e rimasi lì, chino, con i gomiti sulle ginocchia, a fissare l’immensa porta che sbatteva e rischiava di schiantarsi da un momento all’altro sotto la furia della tormenta.

Fino a poco prima ero stato sbronzo. Probabilmente lo ero ancora, cosa che mi sarà capitata un paio di volte nella vita. Eppure ricordavo tutto, come ci si ricorda di un sogno ricomponendone i brandelli.

Info

ISBN 9788845935978 – 172 pagine - Traduzione di Simona Mambrini