“Appena prese l’osso dalle mani della bimba, che era seduta per terra e lo masticava, si accorse che era umano”. Così inizia La signora in verde di Arnaldur Indridason, Guanda 2006. Chi si accorge di questo è un giovanotto “muto come una tomba” che è venuto a portare via il fratellino da una festa. L’osso è stato ritrovato da Toti, il festeggiato. Precisamente al cosiddetto “Quartiere del millennio” sulla collina di Grafarholt da cui si può vedere in lontananza le vecchie case di villeggiatura degli abitanti di Reykjavik. Qui arrivano Elimborg, una delle poche donne del dipartimento di polizia investigativa, Sigurdur Oli e Erlendur a cui si aggiunge l’archeologo Skarphedinn. Le ossa sono rimaste sepolte per circa sessanta o settanta anni. Solo sul luogo del ritrovamento, vicino a dei cespugli di ribes, Erlendur scopre ancora una mano, cinque falangi delle dita e le ossa del palmo. Vengono fatte delle ricerche catastali per sapere che cosa c’era in quel posto dato che Skarphedinn “dice che durante la guerra lì c’era un accampamento militare”. Al cellulare di Erlendur arriva la chiamata di sua figlia Eva “Aiutami”. Ricerca della figlia (drogata) che trova, dopo qualche peripezia, in ospedale. Ha partorito un bambino nato morto. Vicino ai cespugli di ribes c’era una casa. La casa appartiene a Benjamin Knudsen, un ricco commerciante ormai morto. Aveva una fidanzata che sparisce. E’ stata vista andare via con un vestito verde. La sorella Elsa dice che era scappata nel 1940 perché aspettava un figlio che non era di Benjamin. E si era suicidata. Come suo padre quando aveva saputo della sua scomparsa. Da Robert Sigurdsson ( non mi ricordo francamente chi sia e non ho voglia di spulciare di nuovo il libro ) che sta in ospedale gravemente ammalato si viene a sapere che nel luogo dove sono state trovate le ossa ci viveva una coppia con tre figli. Prima di morire dice “donna verde”, “dopo” e “spesso”. E scrive “Storta”. Di chi sono dunque quelle ossa? Della fidanzata di Benjamin, o di qualcuno ucciso lontano e poi portato lì per essere dimenticato, o di una persona che abitava proprio in quel luogo il cui corpo è stato sepolto davanti alla porta di casa perché non era possibile fare altrimenti? Questo il mistero che Erlendur e i suoi colleghi devono risolvere.

Personaggi principali:

1) Elimborg: età indefinibile tra i quaranta e i cinquanta “rotonda, non grassa, ed era una gran cuoca”. Divorziata con quattro figli di cui uno adottato che se va via di casa, risposata con un meccanico che ha la sua stessa passione per la cucina. Laureata in geologia. Mi pare che sia uno dei pochi personaggi che vive in serenità.

2) Erlendur: gira con una utilitaria giapponese “malandata, vecchia di dodici anni”. Divorziato, ha una figlia Eva Lind di circa trent’anni che si droga e un altro figlio che non vede quasi mai. Li ha lasciati da piccoli andando via di casa. Pessimo rapporto con la ex moglie Halidora che lo accusa di tutto. Eva partorisce un figlio che muore. Mentre Eva cerca comunque un rapporto con il padre, suo figlio Sindri Snaer sembra che non gli interessi. Ci sono dei flash back in questa storia. C’è il suo dramma personale di avere perso il fratellino più piccolo durante una tempesta di neve. E la solitudine. Tanta solitudine.

3) C’è poi la storia tra Sigurdur Oli e Bergthora. Storia fatta di sesso, soprattutto da parte della donna. Che vuole avere figli e un matrimonio.

4) Ma la storia più forte, più commovente, più straordinariamente vera (purtroppo) è quella della moglie picchiata da Grimur, il marito. Che fino alla fine non ha un nome come a voler incarnare l’emblema di tutte le mogli tartassate dal proprio compagno di vita. Si sa che “era bassa e piuttosto rotonda, aveva il volto spigoloso, i denti un tantino larghi, le mani piccole fatte per lavorare, che sembravano sempre in movimento”. Non ha conosciuto i genitori ed è stata data in affidamento ad una famiglia dopo l’altra. Ha avuto una bambina da un marinaio morto in mare, Mikkelina che sembra ritardata dopo avere contratto la meningite. Con il marito ha due figli, Simon e Tomas. Le violenze arrivano sempre all’improvviso seguite da insulti vergognosi. Dapprima la moglie è disorientata, pensa che sia colpa sua, non si dà pace. Poi capisce che lui è fatto così. Accetta le botte come un suo destino. Come, se mi si passa il paragone, il Rosso Malpelo di Verga. Senza un grido, senza una parola per non spaventare i bambini. E ricomincia ogni volta da capo. Con una forza interiore che colpisce e meraviglia. Tenta di fuggire ma viene ripresa e desiste. Abbassa la testa e vive per i suoi figli. Ai quali insegna di non parlare male del padre. Non è colpa sua se è così cattivo. Pianta degli arbusti di ribes rosso davanti alla casa. Si crea un forte legame fra la madre e i figli. Il più grande si accorge che il padre si comporta diversamente fuori con gli altri. Diventa più forte come la madre. Quando arriva la guerra e il soldato David Welch tutto sembra cambiare. Suo marito viene arrestato per furto e nasce tra loro due una bella storia. Una storia semplice e pulita. L’americano si offre di aiutare la famiglia e anche Mikkelina che fa progressi. Poi Grimur ritorna dopo essere stato sfregiato in carcere da David con il caffè bollente. Quest’ultimo all’improvviso sparisce come se avesse già compiuto una specie di nemesi di questa brutta storia. Non voglio negarvi la soddisfazione di sapere da voi come finisce. Solo in fondo, ripeto, si conosce il nome della povera moglie. Si chiama Margret. Sono sicuro che non lo dimenticherete. Mai.

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