Non so che cosa verrà fuori. Forse uno di quegli orrendi impasti sciapiti che non sanno di niente, un rimescolio di ricordi sbiaditi e scadenti nostalgie, come quelli che vengono sbrodolati dalle penne di patetici scrittorucoli. E a proposito di scrittorucoli chissà che cosa sarei diventato se avessi coltivato la scrittura (appunto), senza perdermi tra i meandri delle sessantaquattro caselle. Un brillante autore satirico? Un infaticabile fornaio di storie mielate? Un terribile impastatore di sangue e sperma? Un temerario speleologo dell’animo umano? O un semplice saltimbanco della parola da quattro soldi? Mamma mia bella!

Mi mancano i ragazzi. I ragazzi della scuola, i loro volti, i loro atteggiamenti, le loro parole. Ogni tanto chiudo gli occhi e cerco di rivederli, di ripescare le loro figure in fondo al pozzo della memoria. Passano veloci, si urtano, si confondono, vengono su a pezzi: un sorriso, una smorfia, uno sberleffo, un pianto…a volte lo sforzo è quasi inutile, la pellicola si ferma come inceppata e rotta; a volte, invece, arrivano veloci, quasi di corsa a frotte tumultuanti. Mi sembra di risentire le “vedette” su per le scale della scuola ad avvisare gli altri “Arriva i Lotti, arriva i Lotti!” e giù tutti seduti sui banchi, per alzarsi di botto con l’aria falsamente compita circondata da un sorrisetto maligno “Buongiorno, professore!”, “Buongiorno, ragazzi!” e la giornata incominciava…

E che giornata! Piena di certezze e di sorprese. La certezza che Tizio non aveva studiato, perché la mamma era incinta (anche questo!), la sorpresa che Caio (sta per maschio e femmina) aveva invece studiato dopo quasi un anno di riscaldamento del banco ed un ohhhh! che serpeggia per tutta la classe e lui-lei a schermirsi come per dire e che pensavate che fossi scemo poveri citrulli rimbambiti sui libri ora ve lo faccio vedere io! Il momento più bello era durante il compito in classe. Per me, naturalmente, e non certo per loro, a meno che non si trattasse dei soliti due o tre secchioni per i quali il compito in classe rappresentava quasi il culmine di un rapporto sessuale. Ci godevano proprio a far vedere la loro bravura e a mettere un po’ in soggezione gli altri compagni. Per me, dicevo, perché durante quelle ore potevo osservare più a fondo le giovani teste chine sui fogli che si rialzavano ora pensierose, ora demoralizzate, ora percorse come da un fremito, da un’idea nuova, ora quasi addormentate dalla noia e dalla stanchezza. Giovani ragazze e ragazzi, pieni di vita, solari, ansiosi, tremebondi, spacconi e irriverenti, ognuno con le sue problematiche che si portava appresso fin dalla nascita. E proprio durante il compito potevo studiarli meglio, conoscerli meglio, apprezzare le loro qualità e i loro limiti. Uno sguardo affettuoso quasi ad accarezzarli uno per uno. Un po’ mi mancano…

Una parte della mia vita è trascorsa e trascorre tra le librerie di Siena. Un appuntamento quasi quotidiano, una specie di rito senza il quale mi pare che perda qualcosa. Lì passeggio fra i libri, li guardo, li osservo, li scruto, poi ne catturo qualcuno dall’aria interessante (e pure equivoca), vuoi per il titolo, vuoi per la copertina, vuoi per altre insondabili ragioni, lo giro e lo rigiro prima di aprirlo come a soppesarne dal di fuori la qualità, poi lo apro, leggo l’inizio, vado avanti e indietro, lo chiudo, passo ad un altro che occhieggia vicino…Vorrei prenderli e portarmeli via sotto la maglietta come facevo da ragazzetto, quando non avevo una lira in tasca. La tentazione è forte, ma ormai sono diventato una personcina corretta, un bravo omino di famiglia, uno che paga regolarmente le tasse (per forza, me le trattengono dalla pensione!). Allora sbuffo, apro il borsellino piagnucoloso e, se la pensione non è già finita, almeno uno me lo pappo. La cosa detta così sembra semplice. In realtà devo decidere almeno fra cinque o sei possibilità e, gira e rigira, si fa buio…

La mattina dopo, bello frizzante (leggi, meno rincoglionito del solito), me lo porto in macchina, per andare in quel di Ampugnano a qualche chilometro dal paese in cui vivo, dove posso gustarmelo in santa pace. Se non c’è nelle vicinanze l’omino zoppo con il bastone della seconda guerra mondiale. Se mi becca sono storie infinite di morti e sofferenze che mi portano via quasi tutto il tempo della lettura. Le prime volte erano pure commoventi, poi sono diventate un incubo. Dunque meglio evitarle con appropriati giri di macchina, così come è meglio evitare la gattaia (sì, avete capito bene), una signora attempatella che ama i gatti alla follia e non vede l’ora di esternare agli altri, cioè al sottoscritto, questa sua immensa passione. ;

Evitati i due pericoli, posso scendere dalla macchina e cominciare il viaggio, in tutti i sensi, della lettura, camminando e leggendo che ho acquisito una perizia particolare nel fare contemporaneamente le due azioni, senza sbattere contro i tronchi di qualche albero (dopo un paio di capocciate ho incorporato il percorso giusto). L’unico momento in cui riesco a distrarmi è l’arrivo di un giovanotto tutto scamiciato anche d’inverno che borbotta a voce alta continuamente fra sé. Allora non posso fare a meno di guardarlo per un attimo, alzare gli occhi al cielo e ringraziare il Signore della mia attuale condizione psicofisica (pure da brivido). Se piove prendo l’ombrello e continuo imperterrito nella mia sacrosanta lettura quotidiana che nessun cataclisma naturale può impedirmi. Certo che in quel momento la differenza con il giovinastro scamiciato è ridotta ai minimi termini…

Invecchiando sono diventato meno intransigente. Strano, perché di solito il vegliardo è attaccato, rigido come uno stoccafisso, a certe idee, a certe selezioni. Almeno secondo la mia esperienza. Anche in fatto di letture. Ora sono più portato a scuriosare (a dire la verità lo sono sempre stato), a scoprire territori almeno in parte, o addirittura del tutto inesplorati. Saltabecco come un passerotto tra un genere e l’altro, sguazzo nel fango del trucido, piroetto sul palcoscenico del mistero, mi inabisso nei fondali dell’inconscio, nuoto nelle acque infernali dell’orrore e insomma mi do da fare, per non rimanere indietro rispetto ai gusti che vanno di moda (immaginatevi il sacrificio).

Nota dolente: il distacco. Non so se sia già capitato a qualcuno di voi. Forse siete troppo giovani e non lo avete ancora avvertito. E forse non lo avvertirete mai. Ogni umano è fatto di una pasta diversa. Parlo del distacco verso le cose, o meglio verso certe cose della vita. Prendo come esempio quello che scrivo. Anche in questo momento. Grande entusiasmo, grande passione, fede nelle idee. Butto giù, ci credo, lo propongo baldanzoso e con la lancia in resta. Poi, dopo qualche giorno, trovo il pezzo misero, inutile, seppure infiocchettato di mille arguzie (che, tra l’altro, non ci sono). Lo stesso accade per certe problematiche letterarie, per certe discussioni, tanto per restare in tema, sul giallo, il thriller, il noir e compagnia bella che circolano un po’ dappertutto. Su dove andrà a finire questo benedetto romanzo poliziesco, sui libri belli e brutti, sui problemi dell’editoria che guarda solo da una parte (la parte sbagliata per chi guarda da un’altra parte), sul fatto che ormai tutti sono scrittori e non c’è più anima viva che legga ecc…Discussioni che mi attirano, mi coinvolgono, per diventare quasi subito un bla…bla…bla.. di voci lontane, un rumore, pure noiosetto, di sottofondo (la mi’ nonna come so’ conciato!).

Nota ancor più dolente: la morte. No, non toccatevi. Lo dico con serenità, che poi è una caratteristica di noi toscani parlarne, per esorcizzarla in qualche modo. Avete visto il titolo che ho scelto per un articolo sulla mia vita pubblicato nel blog del giallo Mondadori, riferito al sottoscritto, che avrà fatto saltare dalla sedia qualcuno di voi. La morte come la vita, ci si scherza sopra, ci si sorride. I miei incontri annuali con molti dei miei compaesani più o meno di veneranda età (ma anche giovani) riposano lassù: al camposanto! Li ritrovo tutti in fila uno per uno senza il resto di due. Con i loro sorrisetti furbetti come a dire guarda Fabio che qui si sta bene, vieni a trovarci, sai che risate… E io rispondo con un altro sorrisetto furbetto che è come una stretta di mano, a domani, ragazzi, eh…ora ho da fare, domani sicuro che ritorno.

Ci vorrebbe l’anno sabbatico, via. Non ditemi che è solo una fissazione goliardica tanto per metterla in bischerata. Immaginiamoci un anno senza scrivere. Perderemmo, forse, alcune cose belle ma quante schifezze potremmo evitare! Quanti salti di gioia farebbe la parola libera da tanti stupidi aguzzini! E poi tutti nei campi a lavorare dalla mattina alla sera. Ci metto gli amici che ho trovato sparsi per blog: Luigi a sbarbare cipolle, Dario a cogliere i pomodori, Piero a piantare carciofi, Massimo a seminare cavolfiori, Luca a bagnare barbabietole, Enzone a pigiare l’uva, Stefano a spaccare cocomeri con un ben assestato colpo di karatè, Alessandra a impastare il pane e poi via via tutti gli altri, chi a mungere le mucche, chi a raccogliere lo sterco cantando inni di gloria al Signore, mentre il sottoscritto dirige saggiamente le operazioni (qualcuno a dirigere ci vuole…). E dopo l’anno sabbatico giù tutti di nuovo a picchiettare sui tasti del computer svelti come cavallette. Che racconti, che romanzi, che opere degne di gloria verrebbero fuori!

A pensarci mi vengono i brividi.

Sito dell’autore www.libridiscacchi.135.it

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