È saggio trattare il male con rassicuranti ragionamenti manichei? È possibile superare un passato oscuro, inconfessabile, segnato da crimini e torture? L’espressione “fare i conti con il proprio passato” è puramente retorica o può avere ancora un senso? E se lo ha, quale è questo senso?

Se poi questo passato è dominato da un peccato originale, una colpa mostruosa che travalica un singolo misfatto per assumere connotati universali, allora il senso di queste domande sembra divenire ancora più opprimente. Se è vero che “il male – il male nazista - è banale”, come è stato sostenuto, perché chi se ne è macchiato non riesce a lavarsi via quelle colpe facilmente?

L’espiazione, se deve esserci, chi deve derterminarla e come dovrebbe agire? E siamo certi che serva a “redimere”? O piuttosto i sensi di colpa hanno costruito una prigione interiore, mentale e non fisica, e proprio per questo impossibile da travalicare?

Queste e molte altre sono le domande che aggrediscono il lettore di “Caino” e “Il pifferaio magico”, due storie molto diverse per ambientazione, personaggi e atmosfere ma dominate dallo stesso incubo: la colpa nazista e la responsabilità personale.

Nel primo racconto, “La Sindrome di Caino”, il protagonista vive un incubo kafkiano dalle tinte fosche: sul confine tra sogno e realtà, l’uomo incontra la sua colpa – una vittima del nazismo - emersa da un lontano passato, personificata in colui che dovrebbe assisterlo: un medico dell’ospedale in cui è stato ricoverato.

Un racconto claustrofobico, una discesa agli inferi il cui protagonista sarà costretto a fare i conti con quel passato incautamente rimosso.

Nel secondo racconto, “Il Pifferaio Magico”, la scena cambia radicalmente e assume tratti bucolici (campagna, spazi, aperti, prati, casolari). Un’ambientazione-trappola, che poco alla volta svela al lettore il vero senso del racconto, cogliendolo di sorpresa. Un inizio a tinte serene, questa volta: diversi personaggi, dialoghi, un’amore che nasce. Il paesaggio stesso però rivela segnali inquietanti, più sottili, nascosti, e proprio per questo più sinistri. Poco alla volta il protagonista si trasformerà in colui che renderà possibile una dolorosa confessione, una “liberazione” dalle colpe del passo di cui si è macchiata la donna da lui amata. Una colpa vissuta con struggimento e rimossa sotto cumuli di macerie emotive e psicologiche.

Proprio l’amato, (ancora una volta colui che - al pari del medico del precedente raccconto - dovrebbe avere un ruolo rassicurante) si rivelerà artefice di un viaggio a ritroso nella coscienza, alla ricerca di risposte, o forse, ancora una volta, alla ricerca solo di domande.

 

 

L’AUTORE

Enrico Solito, pediatra, neuropsichiatria, giallista, porta il nome dello zio, il più giovane ufficiale italiano trucidato a Cefalonia. Da sempre quindi si confronta con il tema del nazismo e del male. Dopo aver pubblicato numerosi gialli storici (ambientati nella Londra di Sherlock Holmes, nella Roma del Risorgimento, nella Firenze di fine ‘800 e del 1944) ha pubblicato “Cefalonia 1943. Lettere dal massacro” (Hobby & Work Publishing, 2008), in cui racconta la storia della sua famiglia alla ricerca della verità su ciò che era avvenuto nell’isola greca.

Per Alacrán ha pubblicato “Buio prima dell’alba. I delitti di San Michele” (2009)

Enrico Solito

Caino e il Pifferaio Magico

Storie archetipiche sul male

Alacrán edizioni

pp.143

euro 13,00

COLLANA STILO